Regia di Vittorio Cottafavi vedi scheda film
Nel medioevo spagnolo si combatte fra musulmani e cristiani, con veemenza e (non sempre) coraggio, fino a che i pochi sopravvissuti dovranno rendersi conto dell'inutilità delle loro battaglie.
I cento cavalieri è un titolo per qualche oscuro motivo minore della cinematografia nostrana degli anni Sessanta. D'accordo, c'erano Visconti, Fellini, Antonioni e così pure i Monicelli, Risi e via dicendo che facevano incassi d'oro e mietevano critiche entusiaste (chi più e chi meno); eppure all'interno della gloriosa commedia all'italiana avrebbe potuto tranquillamente inserirsi anche questo lavoro semisconosciuto - e godibilissimo - di un regista noto per lo più come autore di sceneggiati televisivi. Buoni, anche buonissimi lavori, quelli di Cottafavi per il piccolo schermo, ma raramente il Nostro ha lasciato il segno sul grande; in questo caso scrive (insieme a Giorgio Prosperi, Enrico Ribulsi e Josè Maria Otero) e dirige una pellicola dall'ironia sottile condita di personaggi ben definiti e momenti riusciti, nel segno di una morale antibellica palese, ma non ostentata. Ne I cento cavalieri compaiono, fra gli altri, Gastone Moschin, Antonella Lualdi, Mark Damon, Wolfgang Preiss, ancora Ribulsi e così pure Arnoldo Foà, cavaliere agghindato in maniera sospettamente simile a quella del Brancaleone monicelliano interpretato da Gassman due anni più tardi; le analogie fra questo film e quello di Monicelli non sono d'altronde nuove e appaiono ben giustificate, per quanto limitate. La cosa che lascia più perplessi in assoluto è il fatto che, dopo questa coproduzione italo-ispano-tedesca di buon respiro (ma passata inosservata o quasi), Cottafavi deciderà di tornare a lavorare a tempo pieno per la Rai, abbandonando le velleità prettamente cinematografiche della prima parte della sua carriera fino ai primi anni Ottanta. 5/10.
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