Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film
Teorema di squartante lucidità, in forma di mélo, sull'impossibilità di sottrarsi agli assiomi coercitivi del sentimento amoroso e alle nefaste conseguenze che l'assunzione irriflessa di tali regole comporta. Mai come in questo film, neppure in Martha (1973), Fassbinder aveva mostrato la perfetta e assoluta coincidenza tra amore borghese e oppressione, facendo dell'uno il volto nascosto e interiorizzato dell'altra: in Un anno con 13 lune amare significa adeguarsi totalmente alla volontà dell'altro, che questo si identifichi con le suore dell'orfanotrofio o col compagno di turno (donna o uomo che sia) non fa alcuna differenza.
Soggetto lacerato nel corpo non meno che nello spirito, Elvira/Erwin è fin da bambino istruito (la didattica dell'amore, sentimento che si impara, si rivela momento determinante) a comunicare affettivamente con chi gli sta vicino (le suore dell'istituto) tramite un gioco mimetico, un commercio emotivo calcolato: essere per loro loro ciò che esse vogliono che lui sia. Soltanto così, per mezzo di questo patto crudele, è dato provare affetto, unicamente uniformandosi alla volontà altrui può configurarsi una relazione d'amore. Ovviamente il linguaggio coercitivo dei sentimenti trascende le entità singole: se le sorelle dell'istituto attivano irreversibilmente il meccanismo affettivo-oppressivo, esse sono solo il primo anello di una catena che racchiude l'intero consorzio sociale. "Essere per l'altro" è la parola d'ordine che apre le porte di ogni rapporto riconoscibile e riconosciuto sentimentalmente da tutti gli pseudosoggetti cresciuti in una società che utilizza l'amore come strumento di oppressione e repressione. Nessuno scarto è consentito, nessun eccesso è tollerato, pena l'emarginazione affettiva. Attraverso gli ultimi trentacinque giorni (24 luglio-28 agosto 1978) del calvario di Elvira (Volker Spengler), Fassbinder mette definitivamente in scena l'inappellabile condanna sociale ai danni di un individuo che ha assimilato esemplarmente e portato alle estreme conseguenze, applicandole con eccesso di zelo e mettendole spaventosamente a nudo, le regole dell'amore borghese, simulacro di un sentimento che aliena la coscienza e annichilisce la volontà nella grottesca convenzionalità di una rappresentazione sempre uguale a se stessa.
E come il soggetto che prova amore (o meglio che crede di provarlo) è un soggetto privato del proprio centro (vale a dire che è costretto ad abdicare alla propria volontà in favore di quella altrui), così il punto di vista adottato da Fassbinder per rappresentare criticamente questo "spossessamento" è un punto di vista sistematicamente decentrato: Un anno con 13 lune è un film in cui testo e sguardo coincidono assai di rado, prediligendo al contrario formule visive dissonanti e discordanti in cui i personaggi e le azioni non godono di quella centralità che il protocollo realista prescriverebbe. Carrellate a pendolo che dissociano la visione dal dialogo (la sconvolgente sequenza del mattatoio) o che tolgono la preminenza d'immagine al personaggio parlante (la sequenza in cui la suora racconta la prima infanzia di Erwin), composizioni del quadro che incorniciano rigidamente i corpi o li occultano parzialmente allo sguardo (le sequenza in casa di Elvira, la visita a Frida la mistica), configurazioni audiovisive che prolungano il sonoro della scena precedente in quella successiva invadendola rumorosamente (il finale, con l'intervista registrata di Elvira che continua a scorrere mentre l'azione del film si sposta sul pianerottolo del suo appartamento): tutte soluzioni che non solo inibiscono brechtianamente l'identificazione spettatoriale, ma che sgretolano cinematograficamente l'etichetta emotiva della retorica filmica, mostrando un altro modo di rappresentare i sentimenti. Un modo che, con disperata lucidità, enuncia l'annichilente ricattatorietà dell'amore borghese. Devastante.
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