Regia di Ridley Scott vedi scheda film
Ridley Scott fa un cinema di icone e di generi, di "modalità di riconoscimento", fin da Blade Runner. E anche in Exodus e in Prometheus di recente questa voglia di discutere delle "confezioni" filmiche è quantomai urgente, perché ancora poco compresa dal pubblico. Scott riesce in un intento contraddittorio: rinvigorire il "genere" affrontandolo nel modo in cui deve essere affrontato, cioè in termini di immagini e di superfici, di patine che rendono discutibile, e addirittura dimenticabile, il contenuto. Solo che oggi non c'è più la speranza (che c'era negli anni Ottanta) di creare Cinema nuovo, ora c'è la consapevolezza che questa Hollywood di oggi (che di New non ha più niente, se non le ceneri) può sopravvivere solo con le confezioni, i lustrini. Il denaro è la metafora migliore per parlare di genere cinematografico come di iperbole (tutto il denaro del mondo), di esagerazione filmicamente accettata, di un mondo che è quello nello schermo e di cui ancora si parla non sapendo bene cosa prendere sul serio e cosa no. Il film è in questo senso imprevedibile e disorientante anche nei fatti. Sebbene certe singole situazioni siano telefonate, alla fine tutto si ribalta grazie alle immagini, alle icone, alle opere d'arte. E' evidente che le immagini hanno un altro sapore rispetto alle parole. Ecco perché il Cinema di Ridley Scott continua ad essere avanti anni luce i "cinema" di Christopher Nolan e di Denis Villeneuve: perché è un Cinema che accetta l'impossibilità della narrazione, a favore di un surrogato della stessa, continuamente messo in discussione, privo di qualsiasi giudizio etico ed estetico, possibile solo perché le immagini hanno un valore che prescinde il loro significato, un valore incarnato nei significanti e nella loro immanenza. Il Cinema non è più un mezzo di comunicazione, è una divinità che ci scruta ma che si vanta di essere un dogma: il campo/controcampo del finale di All The Money in The World ci dice proprio questo.
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