Regia di Ridley Scott vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
A fine anni '40, il cinico e furbo uomo d'affari Jean Paul Getty fece fortuna col petrolio, diventando uno degli uomini più ricchi ed influenti dell'imprenditoria americana. La ricchezza poi, unita al suo interesse quasi morboso per le opere d'arte, per il collezionismo fatto di acquisti compiuti in modo losco, e di sotterfugi volti a strappare prezzi vantaggiosi per opere di valore decisamente più elevato, lo rese famoso anche come uno degli uomimi più attaccati al denaro, e dunque tirchi, avidi, mai esistiti al mondo: la fama che lo accompagnava, fu superata dall'atteggiamento disumano ed egocentrico che l'uomo ostentò con fierezza e sprezzo per ogni logico sentimento parentale, quando il giovane nipote John Paul Getty III venne rapito a Roma, nel 1973, durante un lungo soggiorno in loco.
Un'idea che probabilmente diede il ragazzo stesso ai rapitori, avendo già in mente il ragazzo di simulare un falso rapimento per estorcere denari al ricco nonno avido e freddo. Fatto sta che una banda di scapestrati calabresi lo rapì e poi, impossibilitati a gestire la cura dell'ostaggio, lo vendettero alla 'ndrangheta, decisamente più organizzata per questo genere di loschi commerci.
L'inflessibilità del vecchio di fronte alla richiesta di riscatto trasformò questo episodio, in quella che divenne probabilmente la più concitata e drammatica storia di rapimento mai avvenuta. Per buona pace deglo organi di stampa, che fecero faville di fronte a questo prezioso mix di cronaca nera, scandali e mistero.
Il film di Ridley Scott - girato con ampi mezzi ed una scrupolosa ambientazione nel pieno rispetto di tempistiche e location, usi e dinamiche di vita di quegli anni '70 italiani ingessati tra austerity e relativi blocchi del traffico, criminalità organizzata in ascesa, e gli immancabili scorci folkloristici che fanno impazzire lo sguardo straniero, ed in particolare americano - ne ripercorre i principali momenti, concentrandosi anche, tramite fulminei flash-back, in momenti del passato della vita del terribile ricco miliardario, letteralmente ossessionato dall'idea di non potere né volere disfarsi nemmeno di parte dei suoi immensi mezzi di sostentamento e laute rendite in costante geometrica crescita.
La vicenda si concentra sugli sforzi di una madre (la interpreta con impegno Michelle Williams, molto attiva ultimamente), divorziata dal figlio debosciato e cocainomane del celebre miliardario, di cercare di indurre il tremendo suocero a pagare e a salvare quindi quel nipote verso il quale già da bambino il ricco uomo d'affari aveva già dimostrato sprezzo ed intenti ingannatori (la vicenda della statuetta egizia regalata come vera). E sull'intervendo di un negoziatore privato (un Mark Wahlberg che fa di tutto per essere credibile, in parte riuscendoci), ingaggiato inizialmente dal Getty stesso, che finisce poi per curarsi quasi personalmente della vicenda, turbato dal comportamento freddo e distaccato del ricco cinico imprenditore.
Visto in versione originale (con sottotitoli in francese), il film denuncia senza reticenze le ingenuità che l'occhio americano quasi sempre ostenta su particolari, usi e tendenze di paesi distanti sia geograficamente che culturalmente.
Romain Duris, titolare di un ruolo piuttosto di primo piano (è il rapitore originario che cede l'ostaggio alla malavita organizzata, restandone il custode), viene fatto parlare italiano come lo fosse, e per questo l'attore, francese, fa quello che può per apparire credibile e celare (cosa impossibile), il suo marcato accento francofono.
Una certa folla di attori italiani di una certa notorietà appare in camei o ruoli di contorno (riconosciamo tra gli altri il redivivo Nicolas Vaporidis, Marco Leonardi, non certo nuovo a produzioni internazionali, e Giulio Base per qualche istante fulmineo), mentre nella parte del rapito incontriamo nuovamente (dopo il quasi esordio premiato a Venezia col la coppa Mastroianni per il tenero Charlie Thompson di Andrew High) il biondo efebico e glabro Charlie Plummer, capello lungo e boccoloso, vestito in modo eccentrico come un modello da tarda dolce vita (invero il ragazzo funziona piuttosto bene nella parte del nipote rinnegato dal vecchio avido nonno).
Quanto alla tanto dibattuta scelta di sostituire Kevin Spacey, ormai condannto al rogo come ai tempi delle streghe, e messo al bando dal solito triste e sconcertante perbenismo americano, la scelta caduta sul vecchio ed infaticabile Christopher Plummer, se da un lato dimostra una gran tenacia e dinamismo da parte del regista Scott nel dover rigirare le molte scene che coinvolgevano il personaggio di Spacey - dinamismo che si aggiunge a quello dell'attore ormai quasi novantenne - c'è anche da dire che Plummer, ormai così anziano, stona platealmente nelle brevi ma fondamentali scene dell'avventura petrolifera dell'uomo allocata a fine anni '40: "l'impresentabile" Spacey, decisamente più giovane, era decisamente più adatto a ringiovanire e ad invecchiarsi per coprire una parte che spazia nell'arco di oltre trent'anni. Ogni resto di confronto è inutile e solo da indovinare, ma da evitare per non alimentare altri strascichi a questa odiosa vicenda inutilmente discriminatoria, figlia di biechi calcoli commerciali che puntano sull'immarcescibile tendenza al puritanesimo più ottuso ed indiscriminato, che ha già tracciato in passato tristi capitoli discriminatori proprio nel paese delle libertà più conclamate e strombazzate.
Infatti tutto il resto è, a mio avviso, solo ipocrisia e calcolo commerciale: circostanze e polemiche, decisioni riparatorie, manovre epurative con cui non concordo e che mi lasciano perplesso e sconcertato.
Ridley, da bravo yankee (pur di natali britannici) innamorato della sua Giannina (Scott, ex Facio, mogliettina premurosa ed amata che si occupa anche di produzioni con la "Giannina Production"), non manca nemmeno stavolta di coinvolgere la piacente consorte in un cameo (di fatto inutile, eidondante come solo certi americani sanno essere, inopportuno, sciocco come tutti gli altri avvenuti in passato, ed evidenza più eclatante della reiterata stupidità americana, almeno quando si tratta di ostentare valori della sana solidità della famiglia, la base obbligata e punto di partenza per molti indiscutibile, inevitabile, obbligato, che dovrebbe costituire piuttosto pensiero interiore e non ostentazione manierata. Basti considerare l'ostentazione patetica reiterata ed obbligatoria degli stessi presidenti americani nel portarsi sempre appresso l'inutile ridondante - se non kitch - tutte a parte Michelle - first lady di turno).
Detto questo Scott mi scade come uomo, ma resta - nonostante questo episodio di sostituzione di interpreti degno di un fosco processo da inquisizione - un gran direttore cinematografico: le scene di azione, l'impostazione grandiosa e molte inquadrature sono davvero riuscite, potenti e di grande impatto visivo.
Il film zoppica in molti frangenti e situazioni a livello di scrittura, e il rimescolamento di carte e lo scompiglio di cui sopra, per quanto ammirevole dal punto di vista tecnico (non certo morale), alla fine si nota anche a seguito di un montaggio certamente complicato, aggravato da una vicenda già di suo piuttosto poco lineare e decisamente complessa.
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