Regia di Richard Eyre vedi scheda film
Fiona Maye (Tjompson) è una giudice dell'alta corte britannica che passa tutto il suo tempo a scartabellare sui casi da discutere in tribunale. Ovvio che non trovi mai il tempo per trastullarsi un po' sotto le lenzuola con quel sant'uomo di suo marito (Tucci), che le annuncia una scappatella per procurato priapismo. Va da sé che i due, data la scarsa consuetudine al congiungimento carnale, non abbiano figli. Ergo, che fa questa specie di Thatcher togata? Trova l'occasione per una discendenza surrogata in un diciassettenne leucemico (il pessimo Fionn Whitehead) i cui genitori - testimoni di Geova - rifiutano le cure (impagabile l'unica battuta buona nei dialoghi, quella in cui un avvocato, rivolgendosi a loro, dice "Ma se nell'età del ferro non c'erano le trasfusioni e il Vangelo è stato scritto poco dopo, come hanno fatto a vietarle?"). Il giovanotto - che sembra trasportato di peso dal set di un film di Dario Argento - è costretto a subire la decisione della giudice, guarisce e, per passare il tempo, si trasforma in uno stalker capace di avere accesso anche nei luoghi più esclusivi della borghesia inglese più parruccona.
Tratto da un romanzo di Ian McEwan, uno dei più sopravvalutati scrittori contemporanei, e interpretato (male e sempre con la stessa mutria) da una delle più sopravvalutate attrici di terra d'Albione, Il verdetto è un film che va goffamente a parare su una questione etica attraverso schematismi eccessivi, dialoghi bolsi e virate narrative imbarazzanti. Per il regista del discreto Diario di uno scandalo una prova tutta da dimenticare.
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