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Il verdetto

Regia di Richard Eyre vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il verdetto

di laulilla
8 stelle

Il film ripropone la vexata quaestio dei rapporti fra le opere letterarie e la loro trasposizione cinematografica, che diventa particolarmente interessante nel caso di quest’opera, che Ian McEwan, autore del bellissimo romanzo The Children Act (edito in Italia da Einaudi nel 2014 col titolo La ballata di Adam Henry), ha sceneggiato per il regista.

La bella coppia


Fiona, giudice del tribunale di Londra, cercava angosciosamente le ragioni oscure dello sfascio del proprio matrimonio ora che Jack, suo marito, le aveva confidato la delusione per la sua crescente freddezza e per il suo negarsi da troppo tempo ai rapporti sessuali, ciò che lo aveva indotto a cercarsi un’amante, nonostante si sentisse ancora molto legato a lei, che aveva reagito sferzantemente, esternandogli tutto il proprio disgusto.
Era un brutto momento per lei, che, finora senza scosse, aveva superato le poche difficoltà della sua vita di donna privilegiata, di ottima famiglia e di ottima educazione, che aveva sposato, per amore, Jack più di trent’anni prima, e che con lui era vissuta serenamente, senza sacrificargli la propria carriera: era stata, da giovane, una brillante avvocatessa ed era infine diventata giudice, chiamata dal Tribunale di Londra ad applicare il diritto di famiglia con l’intelligenza e l’umanità che tutti le riconoscevano.
Jack era professore, all’Università, di storia antica e l’amava; si era abituato, come lei, a vivere senza figli, che nessuno dei due aveva escluso per scelta: di comune accordo avevano rimandato il loro arrivo a data da destinarsi, cosicché erano invecchiati, quasi senza accorgersi della loro mancanza; ospitavano volentieri, però, nella grande stanza degli ospiti della loro casa nipoti e nipotini.

 

Il giudice Fiona e i “suoi” casi difficili


Da qualche tempo si accumulavano sul tavolo di Fiona in Tribunale, e persino a casa sulla sua scrivania, carte e documenti da studiare a fondo. Forse era questa eccessiva mole di lavoro la causa del suo inaridirsi affettivo o forse ne era l’effetto, un alibi per non affrontare prima di tutto con se stessa alcuni nodi irrisolti della sua vita che ora venivano al pettine e le imponevano chiarezza.
Gli ultimi casi giudiziari erano stati davvero impegnativi e avevano sollevato interrogativi insoliti per lei che, sempre serenanente pragmatica, era stata improvvisamente costretta a decidere persino della vita e della morte, ciò che l’aveva profondamente scossa e coinvolta emotivamente: era difficile, del resto, in simili circostanze non interrogarsi sull’esistenza (anche sulla propria) sul ruolo del caso, e sul senso del vivere.
Per la prima volta, probabilmente, quando aveva deciso di autorizzare la separazione di due neonati siamesi (uno dei quali, vivendo a spese dell’altro, stava condannandolo a morire presto insieme a lui), aveva compreso la difficoltà di distinguere nettamente fra il bene e il male, incarnati quasi metaforicamente da quel “mostruoso” viluppo di membra, le cui fotografie strazianti ricomparivano nei suoi incubi notturni.

Era stato però Adam Henry, il diciassettenne malato di leucemia, a porre a Fiona il problema più grave della sua carriera, per le conseguenze imprevedibili del verdetto grazie al quale, autorizzando i medici all’uso della trasfusione di sangue per curarlo, gli aveva restituito la vita, mentre la madre e il padre, Testimoni di Geova come lui che voleva lasciarsi morire, lo invitavano ad affidarsi al dio della loro setta, rifiutando di peccare, contaminandosi col sangue altrui.
Adam dopo le trasfusioni era davvero rinato e ora, per mostrarle la propria gratitudine e il proprio affetto, la seguiva come un’ombra dappertutto, le sottoponeva le sue poesie, le ricordava con la chitarra quel canto che, durante l’incontro all’ospedale, lei gli aveva cantato sulle note di una ballata irlandese che aveva accompagnato una bella lirica di Yeats. L’ultimo loro imbarazzante incontro si era concluso con un tenero bacio dopo il quale Fiona si era vista costretta ad allontanarlo, per sempre, con dolce fermezza. Quando, disgraziatamente, la malattia era tornata, Adam, ormai maggiorenne e padrone di disporre di sé, si era lasciato morire nel ricordo di lei, rifiutando ogni trasfusione, ma lasciandole le poesie che per lei aveva scritto, insieme al rimorso.
Qualche cosa, nel loro rapporto, non aveva funzionato, ma di quella immane tragedia Fiona era davvero responsabile? In fondo non era che una piccola e generosa creatura travolta da una tempesta di dubbi angosciosi, che ora aveva davvero bisogno dell’ascolto amorevole di Jack, unica solida certezza sulla quale ora avrebbe costruito il resto della propria vita.

 

Dal romanzo al film


Il film ripropone la vexata quaestio dei rapporti fra le opere letterarie e la loro trasposizione cinematografica, che diventa particolarmente interessante nel caso di quest’opera, che Ian McEwan, autore del bellissimo romanzo The Children Act (edito in Italia da Einaudi nel 2014 col titolo La ballata di Adam Henry), ha sceneggiato per il regista Richard Eyre, collaborando attivamente alla realizzazione di questo bel film.
Trasposizione probabilmente non semplice, poiché si trattava di portare sullo schermo la complessa figura femminile di Fiona Maye indagandone la profonda crisi esistenziale, ma limitando (o confinando allo spazio onirico) i flashback e non avvalendosi della voce fuori campo in sostituzione del flusso di coscienza attraverso il quale, nell’opera letteraria, memoria del passato e tempo presente si intrecciano continuamente, delineando il quadro emotivo contraddittorio e incerto nel quale si muove la protagonista.
Occorreva una grande interprete come Emma Thompson per trasmettere, grazie alla profondità espressiva del volto e dello sguardo mobilissimo, nonché alla passione raggelata della recitazione, la complessità emotiva che il romanzo comunica, coinvolgendoci nella lettura. Ritengo, personalmente, che l’impresa sia riuscita.
Notevole anche l’interpretazione di tutti gli altri attori, e soprattutto di un ottimo Stanley Tucci (Jack) e del giovane Fionn Whitehead (Adam).



 

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