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Mistero a Crooked House

Regia di Gilles Paquet-Brenner vedi scheda film

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La recensione su Mistero a Crooked House

di alan smithee
5 stelle

Nell’anno che celebra il ritorno sul grande schermo di dell’autrice più venduta e letta nell’ambito della letteratura gialla, ovvero di Agatha Christie, pure assai corteggiata e riverita dal grande schermo sin dagli anni ‘50, con adattamenti a volte persino memorabili, ed in attesa del grande evento riservato dal remake di Kenneth Branagh del celebre “Assassinio sull’Orient Express”, anche stavolta certamente una vetrina di star di prima grandezza (ma speriamo anche molto altro in termini di contenuti, considerata l’opera), eccoci serviti di un antipasto con questo nuovamente corale Mistero a Crooked House.

A fine anni ’50, nel castello di un magnate della ristorazione di origini greche, tal Aristides Leonides, costui viene trovato morto, apparentemente di infarto. Gli esami sul corpo della vittima tuttavia rivelano che all’uomo, diabetico e necessitante di costanti iniezioni giornaliere di insulina, sia stato iniettato in suo luogo il liquido oculare utilizzato per altre cure, ed in grado questo di provocare l’arresto del muscolo cardiaco.

Prima che la stampa venga a conoscenza che, in quella villa patriarcale, è stato commesso un omicidio da uno dei familiari del capofamiglia, la giovane nipote del deceduto contatta un suo ex amante, ora aitante quanto un po’ anonimo detective, affinché costui indaghi sui controversi personaggi che popolano quella famiglia controversa.

In loco, all’investigatore si presenterà un clima avvelenato da rancori, invidie e arrivismo, che renderà ognuno un ipotetico responsabile di quel controverso delitto camuffato da decesso.

La coralità degli indiziati, la maniacalità od eccentricità che li distingue uno dall’altro, ma pure la quasi asfissiante o comunque impegnativa e pregna unità di luogo, elemento quest’ultimo assai comune o frequente in molte opere della Christie, si trasforma, in questo adattamento molto, troppo formale a cura del non proprio eccelso regista francese Gilles Paquet-Brenner, in un corteo utile quasi solo a rappresentare i cliché ed i vezzi più scontati di una classe nobiliare di falliti, irrisolti, tendenziosi figuri, che finiscono per diventare figurine sfiorite e prevedibili all’interno di un museo delle cere in cui, anche a causa di una ricostruzione meticolosa, ma pure statica, del contesto scenografico, si finisce per respirare aria stantia.

La squadra attoriale, che riserva qualche nome noto e di un certo riguardo, finisce spesso per gigioneggiare, ognuno a favore dei tic che pervadono il proprio personaggio, non riuscendo a toglierci, da spettatori, quel senso di staticità che la pellicola inevitabilmente comunica e suggerisce.

Una caratteristica che il romanzo sottostante si porta certamente dietro, al pari degli altri più noti e probabilmente più riusciti scritti della Christie; ma la regia un po’ qualunque, più attenta alla cornice che al taglio della ripresa, non riesce a schivare questo senso di oppressione e di mera calligrafia che il film ispira e comunica, uccidendo almeno in parte la suspence a cui la grande scrittrice ci ha sempre abituato sulla pagina scritta, e spesso di rimando al cinema.

Tornando a parlare del cast, si perdona solo, anzi la si nota giganteggiare sopra tutti, la leonina Glen Close, sorella energica e molto perspicace, arguta e brillante, dell’illustre defunto, dedita ostinatamente al giardinaggio e ad una incalzante lotta contro le talpe, prese letteralmente a fucilate.

Max Irons, figlio di Jeremy e di Sinéad Cusack, è come quasi sempre gli accade, sin troppo bello e “biggymmoso” per poter rendersi minimamente credibile nel suo ruolo di ambizioso detective privato, figlio di un padre poliziotto sin troppo celebre e decorato caduto in servizio con onore, per indurlo a ripercorrere i passi di una carriera da vero poliziotto.

 

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