Regia di Luciano Ligabue vedi scheda film
Nella terza fatica cinematografica di Luciano Ligabue, rocker emiliano ruspante e genuino, si fondono due anime: c'è quella ingenua e involontariamente didascalica di chi vorrebbe raccontare il belpaese in una chiave fiction che sembra ereditare il testimone da Niente paura, il documentario di Piergiorgio Gay che ebbe proprio in Ligabue la sua figura di riferimento. E poi c'è una storia, vibrante e vitalissima, di amicizia, di amori traditi, di lavori poco o per nulla gratificanti, di serate in compagnia e di brutte storie col gioco d'azzardo. Se la prima vorrebbe mettere all'indice le assurdità e le contraddizioni del sistema Italia come luogo nel quale i sogni (di realizzazione, di giustizia, di uguaglianza) non hanno cittadinanza, relegate nel film a un pistolotto sovramisura, è l'anima di pura narrazione a colpire il bersaglio con maggiore efficacia, nonostante l'andamento rapsodico, la quantità di difetti nello svolgimento narrativo, l'invadenza delle musiche (ovviamente dello stesso regista) che sovrastano persino i dialoghi. Due anime che trovano corpo nel racconto - ambientato nella provincia di Parma, notissima per i salumifici - al centro del quale si trovano Riccardo (Accorsi) e Sara (Smutniak), coppia di lungo corso ormai in crisi e con qualche scheletro nell'armadio. Lui sta tutto il giorno a insaccare mortadelle, lei fa la parrucchiera. Tra serate in compagnia, ricordi di un passato dolente (un aborto naturale) e confessioni all'amica del cuore, le loro giornate scorrono sullo sfondo di un paesaggio sociale vivace e affettuoso, l'unico ammortizzatore sociale che sembra poter fronteggiare le carenze di un paese allo sbando. Tutto raccontato con la schiettezza e la semplicità di un mediano che con la penna non è mai riuscito a volare alto, ma ha saputo comunque arrivare al cuore della gente. Come in questo caso.
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