Regia di Luciano Ligabue vedi scheda film
Pellicola onesta e sentita da parte del cantante di Correggio in cui i temi dell'attualità italiana, e non solo,si apprezzano tutti. Opera (finalmente) matura che, nonostante qualche caduta di tono dovuta ai dialoghi non sempre apprezzabili, riesce a colpire sul lato umano e ad emozionare.
Riko è un laconico 'testone' emiliano che 'vive nella casa costruita dai nonni, ampliata e ristrutturata dai genitori che invece Lui sarà costretto a vendere', figlio di questa italietta che volenti o nolenti ci obbliga ad una esistenza, parafrasando una canzone di Samuele Bersani corregionale di Ligabue, di 'Sicuro Precariato' sia lavorativo che degli affetti: certezze zero e futuro incerto (come cantava Tonino Carotone).
Il protagonista è un quarantenne, splendidamente interpretato da Stefano Accorsi che solitamente non mi convince mai appieno, impiegato come operaio in una fabbrica in cui insacca mortadella; vive con la moglie (la bella Kasia Smutniak anch'essa finalmente convincente) che tradisce regolarmente con delle sgallettate colleghe di lavoro ed un figlio che, appena diplomato sta per iniziare, primo della famiglia, il primo anno di Università (il Dams).
L'amicizia, il fil rouge che unisce idealmente tutte le opere del regista, è il collante indispensabile per non disgregare una esistenza fatta di alti e bassi: con gli inossidabili compagni di mille scorribande che, con i loro casini ed i loro difetti, devono essere 'protetti' ad oltranza: quasi dogmaticamente.
Riko proverà sulla sua pelle il dolore, l'umiliazione, la depressione... arrivando a sentire, perfino, nostalgia dell'Italia e del Made in Italy ammirando una metropoli mittleeuropea, come doveva essere accaduto anche al compositore di 'O sole mio' ad Odessa in terra ucraina (prendendone ispirazione) nonostante avesse nel cuore l'immagine della sua lontana Napoli.
Alla sua terza regia Luciano Ligabue filma un'opera più matura rispetto alle precedenti (Radiofreccia e Da zero a dieci) che, parimenti alle sue canzoni, risulta onesta, accorata e profondamente popolare.
Bellissima la sequenza iniziale in cui Accorsi, vestendo i panni simil-circensi di una rockstar padana, balla avendo sullo sfondo una mortadella gigante e dietro le note della canzone del Liga che fa da sigla iniziale.
Connubio felice tra concept album e film omonimo secondo i canoni di un cantautore prestato alla settima arte che non produrrà mai qualcosa che si avvicini anche lontanamente ad un capolavoro ma fatto col cuore e soprattutto coerente con se stesso.
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