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Black Panther

Regia di Ryan Coogler vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Black Panther

di lussemburgo
6 stelle

 

 

Non si ritrova in Black Panther la consueta ironia dei film Marvel se non in minimi accenni, per lo più legati al personaggio della spia della CIA Everett Ross, interpretato dall’inglese Martin Freeman. Né il film è strettamente necessario come tassello progressivo del MCU e ulteriore tappa di avvicinamento ad Infinity War. Anzi, gli elementi per la comprensione del personaggio principale erano già tutti in Civil War, sin dalle premesse, con la morte del padre e la trasformazione di T’Challa nella nuova Pantera Nera, sovrano ed eroe del Wakanda.

Questa pellicola rappresenta, infatti, un approfondimento collaterale di un protagonista già introdotto nel novero dei supereroi, a differenza di quanto fatto in precedenza con la presentazione di un nuovo membro anteposta al suo amalgama nel successivo team up (Ant-Man e Doctor Strange ne sono gli esempi più recenti). I maggiori elementi di progressione narrativa sono quasi accessori alla stessa pellicola, forniti dalle due scene dopo i titoli di coda, con il discorso all’ONU di re T’Challa (e la conseguente integrazione della tecnologia wakandiana a quella di Stark) e con la guarigione dal condizionamento sovietico di Bucky Barnes, l’ex Soldato d’inverno (premessa per la sua partecipazione al prossimo Avengers).

Inoltre il Wakanda presenta affinità con Attilan, città ugualmente nascosta alla vista e dotata di tecnologie all’avanguardia, posta però sulla Luna e abitata dagli Inumani, a cui (a dispetto degli iniziali progetti di un film autonomo, coevo di questo) è stata dedicata una brutta e scalcagnata breve serie tv (prontamente cancellata). Tematicamente, quindi, il film recupera la medesima idea di introdurre un’intera popolazione di superdotati belligeranti pacifisti da far confluire in una narrazione più ampia e già avviata (sebbene sia rivolto al cinema e non alla televisione a cui sono da sempre destinati gli umani modificati dai Kree con Agents of Shield). Della serie Black Panther riprende anche, in bella copia, la rivalità familiare all’interno della famiglia regnante (là tra fratelli, qui tra cugini), con conseguente colpo di stato e conquista del potere finalizzata ad un progetto egemonico sullla Terra. In comune a The Inhumans, Black Panther ha purtroppo anche la qualità degli effetti speciali, non particolarmente evoluti (ma gli Inumani è girata in economia, con i capelli di Medusa subito rasati a zero per evitare la spesa dell’animazione), e in cui l’artificio si palesa con triste e meccanica evidenza, soprattutto se raffrontato alla norma degli altri film dei Marvel Studios.

In quanto recap di un personaggio noto e sviluppo di una trama sostanzialmente indipendente all’economia dei film Marvel, il senso di Black Panther risiede altrove: nel suo valore politico. Recuperando quel nome di un personaggio nato negli Anni 60 e che si rifaceva al movimento rivoluzionario delle Pantere Nere, il film riporta in primo piano un forte orgoglio nero, diversamente articolato tra i due antagonisti secondo le modalità al loro tempo espresse da King e Malcolm X. Se T’Challa deve difendere i diritti e le conquiste del suo popolo, mantenendo la segregazione dal resto del mondo (custodendo il segreto dell’avanzamento tecnologico), Killmonger vuole abbattere e conquistare ogni altro governo sfruttando proprio la superiorità prodotta dal vibranio.

Dei due rivali vengono fornite valide motivazioni psicologiche, con la fedeltà ai rispettivi padri (entrambi, comunque, diversamente colpevoli) di cui vogliono proseguire i piani, rispettivamente incruento e guerrafondaio. Il genitore del cugino malevolo voleva attuare l’egemonia nera nel momento di massima oppressione recente, durante i primi Anni 90 dominati dal caso Rodney King e delle rivolte americane, per difendere e far prevalere i neri, americani prima e, in seguito, gli altri. Il padre di T’Challa rimane invece altezzosamente fiero delle ancestrali tradizioni, chiuso al mondo e rifiutando qualsiasi confronto con gli altri.

Ma non è fatto solo di residui politici del secolo scorso Black Panther; svolgendosi al presente, il film non può non rievocare il recente movimento Black Lives Matter e le proteste per le numerose morti violente di giovani nere causate da interventi armati di poliziotti in diverse città statunitensi quale moderna evoluzione delle rivendicazioni delle Pantere Nere originarie, nate proprio come “Partito per l’auto-difesa dei neri”. Inoltre, nella finale scelta antiprotezionistica di T’Challa, ormai capo di stato e reggente legittimato, con l’implicita necessità di alleanze tra popoli (“Bisogna fare ponti, non barriere”: quasi le esatte le parole di Papa Francesco), il film si trasforma in uno spettacolare e colorato pamphlet anti-Trump che rivendica una fratellanza allargata che superi le apparenti diversità di pelle o di religione per una migliore e più diffusa democrazia.

Il fatto che sia lo stesso regista, di colore e di successo (Creed), ad aver collaborato alla sceneggiatura, non può che avvalorare una lettura intenzionalmente polemica dell’opera. Però è proprio questa valenza politica a rendere il film un po’ prolisso e verboso, non efficacemente spettacolare come era, ad esempio, il primo Captain America; in parte per la discutibile qualità degli effetti digitali, in parte anche per gli eccessivi dibattiti tra i personaggi e, forse, anche per l’effetto straniante dello ‘pseudo steam-punk folkloristico’ del Wakanda, in cui retaggi ancestrali si mischiano a tecnologie futuristiche.

Nel cast, Chadwick Boseman, costretto all’impeccabile (e un po’ stolida) dignità del regnante predestinato, viene offuscato da Michel B. Jordan, che brilla per ironica ferocia. Questi, ormai avvezzo a ruoli supereroistici sin da Chronicle e dalla precedente incursione nel mondo Marvel (targato Fox) come nuova Torcia Umana nell’incolore Fantastic 4, si porta in dote i dolori familiari di affetto inespresso e la pesante eredità paterna mista ad ambizione narcisistica di Adonis Creed, con la necessità di riscatto sociale e personale tipica della saga di Rocky, a cui il regista e il suo attore si sono perfettamente integrati e che in parte viene traslata anche nella Pantera Nera.

 

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