Regia di Lars Klevberg vedi scheda film
Una macchina fotografica che si porta dietro (meglio dentro) una malvagia entità. Un soggetto tutt'altro che nuovo per un fiacco debutto in regia. Horror adolescenziale scritto male e infarcito di computer grafica.
Bird (Kathryn Prescott) studia e contemporaneamente divide, con Tyler (Davi Santos), il tempo in un negozio di antiquariato. In mezzo a nuovi oggetti in arrivo, la ragazza rimane affascinata da una vecchia Polaroid SX-70 con la quale scatta una foto a Tyler. Poi, portandosi dietro la fotocamera, partecipa ad una festa in costume e anche in quel contesto scatta alcune istantanee. Attribuendo alla Polaroid un difetto, rimane colpita da ombre antropomorfe sulle fotografie, alle spalle dei soggetti ritratti. Quando apprende che Tyler è stato trovato morto nel negozio, inizia a sospettare che la macchina fotografica sia maledetta. Indagando, con gli amici coinvolti in pericolosi incidenti a causa degli scatti, Bird risale al proprietario della Polaroid: Roland Joseph Sable, responsabile nel 1974 di tre omicidi. Vittime dei ragazzi che avrebbero scattato foto compromettenti alla figlia Rebecca, inducendola al suicidio.
Il norvegese Lars Klevberg nel 2015 vince un premio per un cortometraggio dal titolo -guardacaso- Polaroid. Qualche anno dopo, sotto l'ala produttiva (e protettiva) della Dimension films si trova a debuttare con questo lungometraggio, ispirato all'omonimo corto solo nell'incipit (che nulla c'entra con il film). Infatti la sceneggiatura di questo ennesimo fiacco horror adolescenziale è attribuita ad altri, ovvero Blair Butler. La produzione coinvolge Australia, USA, Norvegia e Canada ma il risultato appare assai deludente sia per una serie di risvolti improvvisati (su Roland Joseph Sable) sia per la forzatura che sta alla base della Polaroid "maledetta". Per dirla in poche parole, la creatura mostruosa è messa lì giusto per consentire di dare sfogo alla conforme e scialba creatività dei tecnici della computer grafica. E questa sarabanda di effetti digitali, invadente e pressoché presente in tutte le scene più "spaventose", appare terribilmente falsa riuscendo a sminuire il già modico clima di tensione.
Il paragone con i precedenti Shutter (l'orientale e il suo remake americano, attenzione invece all'inguardabile omomimo di Hal Burdick) diventa inclemente, tanto che figura più interessante -per stare sempre in tema di Polaroid infernali- l'italianissimo Smile (ed è tutto dire). Ma se si vuole davvero vedere un bel film horror che ruota attorno all'interessante tema delle macchine fotografiche, diventa obbligatorio recuperare Camera obscura. Resta un enigma il fatto che questo titolo possa arrivare nelle nostre sale, passando ingiustamente davanti al gioiellino di Aaron B. Koontz. È da segnalare che, sempre per la regia di Lars Klevberg, a giugno 2019 ci proporranno al cinema anche il remake (nell'ultimo anno -ahinoi- mania tornata di moda) di La bambola assassina, operazione "reboot" che -stando alle brochure- in tutta onestà poteva probabilmente essere risparmiata al pubblico.
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