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The Post

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su The Post

di lussemburgo
8 stelle

La classicità di Spielberg e la sua totale fiducia nella forma cinematografica si manifesta nella capacità di esprimere idee e concetti quasi senza dialogo, affidandosi alle immagini e alla loro successione, con la leggerezza di un funambolo che insegue le persone e le cose per trasformarle in parole. Ed è un film sulla parola, The Post, la parola scritta dell’informazione, la parola impegnata nei rapporti schietti, ad amici o soci, la parola celata della politica e dell’economia, che guardano alla realtà con parzialità, la parola delle minoranze che, infine, conquistano una voce.

Centrato sull’editrice del “Washington Post” e sui suoi dubbi sulla pubblicazione di documenti riservati (tema sempre attuale negli Stati Uniti) proprio nel delicato momento della quotazione in borsa del giornale, The Post è un film sulla riscossa della verità. Non soltanto quella dei fatti, segretati dai governi, ma anche nel senso di un’emancipazione di strati sociali che vedono in Katherine Graham un’involontaria e reticente paladina. È nelle sue incertezze e nel progressivo riscatto dall’altrui parere che la scelta della pubblicazione dei Pentagon Papers ha il sapore di una affrancamento dalle costrizioni sociali verso un’apparente libertà e autonomia. Come il film mostra chiaramente, le donne si alzavano da tavola quando le discussioni si facevano serie, lasciando gli uomini a fumare e a decidere, riservandosi la funzione estetica e organizzativa, il mero dibattito domestico e una vocazione ancillare in un mondo del lavoro a forte dominante maschile (e bianca).

Le esitazioni della voce di Streep, il balbettio intimidito, il repentino oscillare tra diverse opinioni riflesse terminano nella scelta di scegliere, nella decisione di assumersi una responsabilità individuale e privata che diventa, automaticamente, sociale. In un episodio apparentemente secondario, Katherine viene fatta passare dall’entrata riservata alla Corte Suprema mentre aspettava in fila. La ragazza di colore che l’accompagna, pur essendo un funzionario pubblico a lei teoricamente avverso, si dichiara però dalla sua parte in una lotta che diventa così non solo a favore della libertà di stampa, ma di espressione e di vita, di parità delle donne e delle etnie.

L’impegno che il film manifesta a favore della verità in un’America dominata da un presidente eccentrico e allergico ad ogni espressione di dissenso si allarga, nel riflesso dell’oggi, ad inglobare l’eco della diffusa riscossa femminile, a farsi manifesto di istanze progressiste troppo spesso, e ovunque, appannate. Ma non c’è retorica in The Post, solo il ritratto di un momento e di un gruppo di personaggi chiamati, per forza di cose e di occasioni, ad assumere, loro malgrado, il compito di essere eroici, costretti ad uscire dalla propria normalità dall’eccezionalità della situazione.

Attorno ai due grossi calibri dei protagonisti, Streep e Hanks, modulati, rispettivamente, in una varietà di sfumature delicate e in una certa fissità assertiva che ribadisce una distinzione fondamentale tra femminile e maschile che il film asserisce per ritrarre il tempo della sua ambientazione, Spielberg inserisce (com’è sua consuetudine) trascinanti figure di contorno, incarnate da abili attori, volti assai riconoscibili perché mutuati dalla vasta a varia serialità televisiva, fucina infinita di talenti. Con l’ironia, ad esempio di far incarnare a Matthew Rhys, noto come spia sovietica sotto copertura in The Americans, il ruolo della talpa che fa trapelare i documenti, quasi ad assecondare le paranoie cospirazioniste di Nixon.

Ma se ogni personaggio vissuto è soltanto una pedina della storia reale, assurto ad un ruolo simbolico per il momento in cui si è trovato a vivere e ad agire, anche ogni film diventa un tassello di un più vasto panorama, un frammento di una narrazione diversamente articolata. Così, il film inizia sui campi di battaglia in Vietnam, con il nervosismo di una macchina da presa sballottata dalla fuga dalle pallottole di un nemico invisibile, e si conclude con una visone d’insieme del palazzo del Watergate mentre una guardia notturna scopre l'intrusione degli uffici del Partito democratico da parte di emissari di Nixon. E sebbene questa sia un'altra storia, da questa consegue: The Post prosegue i vari film bellici sul Vietnam degli Anni 70 e 80, e prelude a Tutti gli uomini del presidente (di cui rievoca fedelmente la scena inaugurale), in una filiazione morale e culturale (così come Lincoln faceva da prequel a The Conspirator di Redford, ad esempio) che è anche una dichiarazione d’intenti e di partecipazione da parte di un regista da sempre interessato alla verità dei suoi personaggi, terrestri o meno e del contesto, realistico o fantastico che sia.

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