Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Terzo in lingua inglese e prima pellicola del regista greco di cui però non è autore, insieme al solito compagno di scrittura Efthymis Filippou, della sceneggiatura realizzata invece dalla coppia Deborah Davis & Tony McNamara, La Favorita è l’ennesima tragedia della filmografia di Yorgos Lanthimos, una surreale ed enfatica partita a scacchi tra tre personaggi (la Regina Anna d’Inghilterra, Lady Sarah Churcill e la cugina Abigal Masham), tutti ritratti femminili nel quale, a turno, si invertono i ruoli di vittima e carnefice, ma osservati attraverso lo specchio deformante della commedia grottesca, un immaginario satirico sopra le righe (molto alla Jonathan Swift o alla Fielding) che consente a Lathimos di osservare e di raccontare, con un certo sadismo ma comunque privo di un eccessivo compiacimento, gli intrighi di corte del ‘700 inglese ma attraverso un punto di vista tutto al femminile.
Il film è pura estetica formalizzata, non sempre semplice da processare ma ricca di fascino e contemplazione, un dramma “barra” commedia dove la dimensione metaforica-allegorica diventa preponderante e centrale (quando non addirittura ingombrante) e dove vengono rielaborati stilemi e meccanismi attraverso un’acuta ironia e una sfrontata messa in scena dei clichè dell’epoca fino all’iperbole di un mondo ricostruito in modo caricaturale.
I personaggi inquadrati quasi sempre dal basso a sottolineare una regalità e un’importanza più di facciata smascherata però dalle meschinità dei loro stessi comportamentie, le vere e proprie “maschere” volutamente eccessive e pacchiane dei protagonisti (specie quelle maschili) ma anche nelle loro azioni e comportamenti, anche quelle più normali (le scene di ballo teatrali quanto ironicamente sbagliate) e l’abuso dei grandangoli e dei rallenty a dimostrare le astrusità e l’irrazionali di mondo falsato e come specchio deformante (ma comunque rivelatorio) della realtà, enfatizzandone i ruoli, sempre recitati, come anche gli intertitoli da romanzo d’appendice che riprende nelle spaziature forzate i modo di impaginazione dei pamphlet dell’epoca, tutto è costruito per un romanzo satirico che non è soltanto raccontato ma anche e soprattutto vissuto attraverso l’immagine (cinematografica) e il confronto visivo.
Ma fiore all’occhiello del film sono soprattutto le interpretazioni femminile, dall’ottima Olivia Colleman interprete di una sovrana volubile e infantile, complessata e seminferma a causa della malattia, disperatamente in cerca d’affetto e facile preda quindi prima di Lady Sarah Churchill (una splendidamente risoluta Rachel Weisz), sua amica d’infanzia e succesivamente amante, che la controlla e che, attraverso al sua influenza, governa di facto l’Inghilterra al suo posto e, successivamente, della di lei cugina Abigail Masham (una Emma Stone affascinante nella sua macchiavellica perfidia), cortigiana caduta in disgrazia disposta a tutto pur di tornare nel più breve tempo possibile ai piani alti della nobiltà inglese, anche a costo di sfidare apertamente la sua potentissima cugina.
L’interpretazione a carattere femminista della pellicola è fin troppo evidente (quasi caricaturale): gli uomini sono costantemente in balia degli umori delle donne quando non apertamente messi in ridicolo dalle stesse, quasi sempre stupidi, troppo spesso ingenui o non totalmente inutili, privi di effettivo valore o di una qualche capacità.
Ufficiosamente detengono però il controllo e le cariche istituzionali ma in realtà, dietro alla facciata, sono invece le donne ad avere il dominio e a lottare (e a giocare) con e per il Potere.
Una lettura forse ambigua ma anche complessa e che apre a un nuovo scenario su una storia dell’umanità scritta prevalentemente dall’uomo e viene quindi da chiedersi quanto di autoreferenziale, per il genere maschile, ci sia su quanto conosciamo della storia e quanto invece non conosciamo e/o sarebbe da attribuire invece all’opera delle donne.
Tesi affasciante almeno quanto, a suo modo, terrificante, no? ; )
VOTO: 7,5
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