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La favorita

Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film

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La recensione su La favorita

di Peppe Comune
8 stelle

Inghilterra, primi anni del XIII secolo. Mentre il paese è in guerra con la Francia, la Regina Anna (Olivia Colman) deve far fronte al suo carattere umorale e alla sua saluta cagionevole. Ad assisterla negli affari del regno è la duchessa di Malborough Sarah Churchill (Rachel Weisz), sua consigliera personale nonché amante segreta della viziosa Regina. Sarah caldeggia il proseguimento della guerra, a favore del primo ministro in carica Sidney Godolphin (James Smith) e contro le posizioni di Robert Harley (Nicholas Hoult), un Tory che vorrebbe firmare subito un armistizio con la Francia. La complicità che sembra indissolubile tra la Regina e la sua consigliera personale si incrina quando a corte arriva Abigai Hill (Emma Stone), cugina di Sarah ma caduta in disgrazia a causa dei debiti di gioco contratti dal padre. La bella ragazza prende servizio come cameriera personale di Sarah, ma non ci impiega molto a farsi notare dalla regina Anna e a soddisfarla anche sessualmente. Inizia così un intrigante gioco a tre : Abigai cerca di riacquistare le rendite di posizione perdute ; Sarah cerca di frenare le ambizioni della ragazza per conservare la sua posizione di privilegio ; la Regina Anna è corrosa dal dubbio su chi debba essere la sua favorita. Un gioco che finisce per coinvolge in maniera decisiva le scelte di indirizzo politico della corona d’Inghilterra.

 

Rachel Weisz, Olivia Colman

La favorita (2018): Rachel Weisz, Olivia Colman

 

Per la prima volta orfano del suo amico sceneggiatore Efthymis Filippou, Yorgos Lanthimos si cimenta questa volta con i caratteri tipici del cinema storico. Con un film atipico rispetto alla sua filmografia che, anche quando ha “lasciato” la Grecia per abbracciare produzioni internazionali, è rimasta caratterizzata dall’idea di un futuro più meno prossimo e più o meno ospitale vaticinato nel suo incedere necessario dalla presenza di numerosi segni indiziari. Lontano dalle futuribili atmosfere stranianti proprie della sua poetica dunque, “La favorita” è un magniloquente affresco storico caratterizzato nei suoi tratti stilistici da un’eleganza formale evidentemente ricercata e volutamente esibita. La vita di corte è tratteggiata con puntuale adesione ai suoi riti canonici e ai suoi immancabili scontri di potere, le vicende politiche coeve fanno sentire quanto basta la loro presenza per far sì che le passioni istintuali dei corpi non prendano totalmente il sopravvento sulle stringenti questioni del regno. Sullo sfondo c’è la guerra in armi con la Francia, uno scontro tanto endemico e tanto normalizzatosi nello scacchiere geopolitico della “vecchia” Europa, da essere ormai avvertito con un sentimento carico di sinistra familiarità da chi è chiamato a leggerne gli sviluppi, come un fatto da cui non si può sfuggire e da cui, quale che sia la mossa intrapresa, non ci si può aspettare che soluzioni transitorie. Una guerra che produce abitudine a sentirsi parte di uno scacchiere prodotto dai fatti storici. Lanthimos è abile a far emergere la voce della storia senza caricarla di eccessiva importanza, facendola rimanere al servizio di un racconto che vuole principalmente concentrarsi sul come gli intrecci delle vicende domestiche possono influire sulle scelte di indirizzo politico. Il film ruota intorno ai nervi scoperti delle tre protagoniste, a diverso modo partecipi delle incombenze del potere e a diverso modo desiderose di voler vincere la stanchezza con l’ambizione, la noia con la passione dei corpi. La Regina Anna (magnifica l’interpretazione di Olivia Colman, premiata a Venezia e con l’Oscar), dal carattere volubile e la salute cagionevole, viziosa e irascibile, la pietra angolare di un sofisticato congegno psicologico, la prigioniera privilegiata di un ruolo svolto con sempre più svogliata accuratezza nei particolari, un ruolo dove le debolezze del corpo non valgono meno del suo prestigio regale nel determinare la natura di scelte impellenti per il paese che governa. Sarah, la più fidata consigliera della regina, la concreta reggitrice delle sue “regali” volontà. L’amante voluttuosa e la stratega spregiudicata, si muove come un ragno che tesse imperterrito la sua tela, con lenta decisione e precisa adesione allo scopo cui si vuole e si deve arrivare. Abigai, la candita ragazza vestita di pudica innocenza. O la serpe in seno coltivata con inconsapevole ingenuità, pronta a colpire al minimo spiraglio buono. Impara presto ad affogare nella scaltrezza degli occhi le reiterate richieste di compassione. Vuole acquisire le rendite sociali perdute, ridiventare una dama rispettata e riverita, e trova la stada spianata nelle voragini tentacolari del torbido. Tra donne a diverso modo complesse che danno vita ad un egoistico balletto intorno alle vicende politiche della corona d’Inghilterra, indifferenti rispetto a quanto la loro insana umoralità possa giocare su di esse un ruolo determinante. Un balletto inscenato sul limite concreto delle rispettive turbe psicologiche, tra l’esercizio “realistico” del potere e le ambigue enunciazioni dei sentimenti, tra i sottili giochi di seduzione e le sotterranee strategie per acquisire e conservare posizioni di privilegio. L’intrigo domina con impavida noncuranza, e ognuna lo pratica stringendo le più opportune alleanze e seminando in giro i veleni necessari. Lanthimos asseconda tutto questo adottando una regia che contribuisce a dare un suo apporto stilistico allo sviluppo descrittivo del film, più incline ad incidere sulle forme della messinscena che a rimanerne a debita distanza. La macchina da presa si muove tra le stanze del palazzo reale catturandone tutta la marziale solennità. Nel mentre, l’uso continuato del grandangolo, insieme a far risaltare la natura deformante del potere, accentua per analogia il carattere straniante delle tre protagoniste, che regina, consigliera o cameriera che sia, agiscono all’unisono come per incarnare la faccia aleatoria della volontà di potenza, la sua natura arbitraria. A ben riflettere, questo aspetto stilistico adottato da Lanthimos gli è evidentemente bastato per tracciare una (seppur sottile) linea di coerenza  tra “La favorita” e tutta la sua produzione precedente. In fondo, l’autore greco sembra chiederc(s)i : quanta differenza c’è tra un passato dove l’abitudine a praticare la guerra era tragicamente iscritto nella lista ordinaria delle cose da fare e un futuro abitato dai segni premonitori di una catastrofe imminente ? O tra una storia che ha normalizzato il dispotismo come esercizio del potere e l’assenza della storia, invece, che sembra poter produrre solo distopie ? Yorgos Lanthimos , in ogni caso, induce sempre a fare delle riflessioni sensate sullo stato delle cose.        

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