Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Lanthimos rifugge e manipola la veridicità storica per raccontare il potere al femminile.
La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.
Nonostante la svolta internazionale della carriera di Yorgos Lanthimos, da The Lobster in poi, quest’ultimo non è mai venuto meno alla sua marcata impronta personale, caratterizzata da uno sguardo pienamente postmoderno sulle proprie radici classiche. Tutto ciò non si smentisce in questo suo ultimo lavoro, La favorita, del quale eccezionalmente non ha curato la sceneggiatura.
Ci troviamo davanti un film al femminile, una commedia in costume farsesca nella quale la realtà si riduce ad una corte modellata dagl’inganni machiavellici delle sue abitanti: caratteristiche che ben si adattano allo stile visivo dell’autore ateniese. La messinscena prende infatti una direzione precisa, ovvero l’antinaturalismo: la recitazione ostentata ed a tratti istrionica degli attori va a braccetto con una regia che varia da campi lunghi, statici, mossi all’improvviso da disarmoniche panoramiche orizzontali, alla scelta di ottiche grandangolari che deformano le ambientazioni, col fine di rendere l’atmosfera fittizia ed estraniare lo spettatore.
La favorita è un film che ragiona sul rapporto tra realtà e finzione: l’autorità apparente della regina Anna in opposizione a quella effettiva delle due dame che la manovrano. Lanthimos volge lo sguardo al teatro greco antico nel rappresentare personaggi femminili in pieno controllo delle situazioni attraverso le loro due armi caratteristiche, il raggiro ed il veleno, mentre allo stesso tempo gioca ad amalgamare visivamente la raffinatezza degli ambienti con la volgarità dei modi del potere. Il risultato è una breve incursione del regista greco nella commedia, facendo leva specialmente su toni grotteschi, ma nella quale decide di non radicalizzarsi così da lasciare spazio al dramma man mano che le psicologie delle tre protagoniste si sviluppano: pur scadendo a volte nel didascalismo, la reggia si rivela essere una gabbia dorata all’interno della quale, per non decadere definitivamente nella follia, la regina Anna ha bisogno di convincersi di avere mantenuto una qualche forma di controllo sul prossimo.
Quello a cui l’autore dà forma è un mondo rovesciato che nemmeno prova ad essere patriarcale, un diciottesimo secolo traslato in una dimensione non collocabile su un piano reale, in cui a condurre il gioco sono tre donne dominanti, mentre gli uomini sono sciocchi, effemminati, vittime inconsapevoli. Allo stesso modo si ha un ribaltamento della commedia stessa, che viene dissezionata e mostrata freddamente allo spettatore come frutto della malignità dell’essere umano: i divertimenti di corte ridicolizzano il piccolo cosmo autoreferenziale che sono la monarchia, il governo, garanti di un popolo spesso citato, ma mai mostrato, che a conti fatti è ritenuto meno interessante di una corsa delle anatre. Sulla pellicola aleggia una costante ironia che giudica i personaggi dall’alto, ogni azione ha una diretta causa o conseguenza nel calcolo opportunista o nella psiche turbata dalla tragedia, che seppure perifericamente, non può non allungare le propria ombra sulle assurde dinamiche comiche della trama.
Pur basandosi su fatti e personaggi realmente esistiti, Yorgos Lanthimos rifugge e manipola la veridicità storica per raccontare il potere al femminile, ribaltando rapporti gerarchici e di genere in un’opera farsesca, un gioco mascherato dal quale nessuno esce innocente. Un plauso in particolare va alle performance delle tre attrici, tra le quali a spiccare è l’irrazionalità, con venature d’infantilismo, della regina Anna interpretata da Olivia Colman. Eppure, La favorita coi precedenti lavori del regista non condivide né la carica dirompente (The Lobster) né la potenza espressiva (Il sacrificio del cervo sacro): rimane piuttosto un riuscito esercizio di stile, l’ironica dissacrazione dell’autorità da parte di un artista che ci ha ormai abituati a livelli qualitativi altissimi.
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