Regia di Yorgos Lanthimos vedi scheda film
Venezia 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Il "cervo sacro" del cinema ellenico, Yorgos Lanthimos, lasciate da tempo le coste dell'Attica e messe, apparentemente, da parte le tragedie classiche degli illustri pari ateniesi, porta con sé sulle rive del Tamigi la polposa consistenza della drammaturgia greca che, unita all'etereo ed impalpabile umorismo britannico, da forma a "the Favourite", sesta fatica solista di una brillante carriera registica. Rivitalizzata una sceneggiatura, da tempo in naftalina, della storica britannica Deborah Davis, Lanthimos si concentra sulla regia in un'operazione su commissione in cui, gettata la maschera e zittiti i canti caprini, esibisce il proprio eclettismo artistico trasformando il palazzo reale di Londra in un elegante teatro nel quale il "giullare" tutto può dire e tutto può fare al suono tagliente di una ghironda. Mi piace divisare il regista, acconciato in un abito ridicolo e sgargiante, che balzella da una stanza all'altra di Kensington Palace alla ricerca di dettagli e pettegolezzi spinosi che arricchiscano una tagliente commedia ai danni della Corona britannica. Lasciatemi dunque immaginare il giullare di corte come appariva nel Medioevo anche se ad inizio '700 la sua figura era già stata soppiantata dall'impresario teatrale capace di inscenare spettacoli e giochi pirotecnici per una corte esigente e ben pagante. Lanthimos sarebbe stato un fine impresario (ed un geniale saltimbanco) capace com'è di curare i minimi dettagli della sua opera, con un occhio di riguardo alle luci e alle inquadrature di macchina. Dettagli che tintinnano come i campanellini di quel ridicolo copricapo che l'infido cantastorie indossa, come costume, per attirare su di sé l'attenzione. Lasciato a bocca aperta lo spettatore ammaliato che, buono buono, seduto in poltrona, ammira il proscenio, facendosi rigirare come un calzino, il dispotico burattinaio gli fa credere ciò che desidera mentre tira le fila dei propri personaggi messi a nudo nella loro grettezza e nel loro calcolato opportunismo. Siamo, del resto, alla corte di Gran Bretagna dove ogni possibile piano viene ordito per accaparrarsi i favori della regina e per mettere alla porta di palazzo una spietata concorrenza a caccia di favori. Operazione a cui non rinunciano le dame di corte, come i ministri e tanto meno le serve. "Mors tua vita mea" dicevano i latini. Così mentre tory e whig discutono le sorti della guerra di successione spagnola che insanguina l'Europa, e la regina Anna (prima sovrana di Gran Bretagna) pensa ai suoi figlioletti pelosi, Sarah Churchill (Rachel Weisz) trama, dirige ed influenza i pensieri di una monarca (Oliva Colman) distratta ed incurante della politica, oppressa dai whigs e corteggiata dai tories. Quando però arriva a corte Abigail Hill (Emma Stone), cugina nobile ma caduta in disgrazia della duchessa di Marlborough, inizia un'astuta e infaticabile scalata nei ranghi che lentamente fa vacillare il rapporto d'amicizia instaurato tra la regina e la propria schietta consigliera.
Lanthimos dirige un film di grande eleganza formale senza però dimenticarsi del contenuto. Oltre alla raffinata caratterizzazione dei personaggi che appaiono nella giusta alchimia di pregi e difetti, virtù ed umane debolezze, il regista descrive con cura i rapporti e le dinamiche femminili e di classe nell'epoca in cui si esaurì la dinastia Stuart. Per raggiungere lo scopo si avvale con perizia della tecnica: riprese circolari a camera statica spesso rapide come i repentini cambi d'umore e il configurarsi di nuove trame e strategie nei rapporti; fish eye che raccolgono in una sola inquadratura ambienti maestosi o molto vasti creando una visione deformante di un mondo ricco quanto moralmente deforme inficiato dall'arrivismo e dalla lotta di classe nei piani nobili quanto nelle rozze cucine; candelieri che effondono luci kubrickiane che, ammantando di nero gli ambienti meschini di palazzo, mantengono l'opportuno riserbo sulle intenzioni dei protagonisti; slow motion che paralizzano lo spettatore davanti alla frivolezza della corte britannica, ripresa nelle sgraziate urla dei ministri che scommettono sulle corse delle oche, e nella squallida impudicizia dei cortigiani che sprecano frutti succosi in un giuoco in cui il bersaglio è nudo, imbellettato dal trucco e decorato della parrucca (le grasse nudità all'inizio di "Animali notturni" mi tornano prepotenti e alla mente!). Vediamo perciò una società vanesia e sprecona con una regina ignara di ciò che le accade intorno in cui le donne tramano e gli uomini perdono tempo mentre oche e conigli sono trattati con grazia superiore ai sudditi, per i quali sono previste nuove tasse che possano migliorare le sorti di un conflitto cangiante e brutale.
Nonostante la bassezza morale dei personaggi il regista greco si mantiene su un registro di giocosa ironia e non risulta mai troppo severo nei confronti dei personaggi. La regina Anna è una donna fortemente umorale ma 17 gravidanze non portate a buon fine e nemmeno un figlio in grado di garantire la discendenza sono una scusa sufficiente, insieme alla precaria salute, a renderla più umana. Abigail Macham è, sì, un arrivista capace di lavorare "di mani" quanto "di bocca" pur di raggiungere lo scopo prefisso ma è impossibile non ammirarne la sagacia tattica e l'astuzia. Mentre per Lady Churchill provare pietà, persino un po' di empatia, diventa un'esigenza di irreprimibile umanità. Nonostante ciò il finale è vergato da una profonda amarezza che riverbera tutta la fragilità delle donne, che oggi come allora, devono lottare con le unghie per emergere e per dimostrare di essere degne di considerazione in un mondo di uomini. Un epilogo, quello scelto da Lanthimos, che sembra scaturire dalla tragedia ellennica ancor più che dall'irriverente sarcasmo del buffone medievale. Strepitose le tre protagoniste mentre la regia di Lanthimos lascia da parte i virtuosismi intellettuali del passato per un film destinato ad un pubblico più vasto ma non per questo di modeste pretese. Imperdibile.
Mi dicevano il matto perchè prendevo la vita
da giullare, da pazzo, con un' allegria infinita.
D' altra parte è assai meglio, dentro questa tragedia,
ridersi addosso, non piangere e voltarla in commedia.
(Il matto, F. Guccini)
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