Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Il personaggio creato da Cervantes e relativo romanzo è una fortissima metafora sulla forza dell'immaginazione, della follia e del romanticismo avversa al cinismo, al concretismo e al materialismo della realtà, e forse non è affatto un caso che sia anche l'ultimo lavoro di Terry Gilliam. Solo che, questa volta, a vincere sono stati i giganti.
Iniziata trent'anni fa, L'uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam si è trasformata nel tempo in un'utopia, diventata poi una chimera che si è trasformata a sua volta in un'ossessione che, lentamente, ha finito per consumarne l'estro e le volontà.
Probabilmente Gilliam non lo ammetterebbe mai ma L'uomo che uccise Don Chisciotte è un'opera incompiuta, ridotta, in cui l'autore è stato evidentemente costretto a molti/troppi compromessi, riducendone visibilmente la propria portata magalomane in quella che si potrebbe tranquillamente sostenere sarebbe dovuta essere la pellicola definitivo della sua arte e della sua visione poetica.
Un'opera troppo ambiziosa per potervi davvero rinunciare e da portare invece a termine a qualsiasi costo, ma tra investitori dileguatosi prima dell'inizio delle riprese, nubifragi che hanno distrutto attrezzature e scenografie, problemi fisici, anche gravi, degli attori e contrasti fino ad arrivare anche alla denuncia con la produzione stessa, Gilliam e le sue smisurate ambizioni hanno dovuto fare i conti con la dura realtà, dei "giganti" questa volta veri e non solo immaginati, e ha dovuto alla fine cedere, accontentandosi almeno di finirlo per poterlo mostrare infine al pubblico, quel film.
Il risultato di tutto questo è, purtroppo, un film imperfetto, forse addirittura inadatto, in bilico tra un gioco matacinematografico tra i suoi stessi insuccessi nel realizzarlo, una specie di parodia autobiografica, e un'immaginario carnevalesco esagerato e folle, in puro stile Gilliam, ma nel quale solo a tratti emerge il vero guizzo, dispotico e visionario, del regista. Un giochino che si incaglia invece in troppi punti, tra un dualismo tra arte e vita, falso e reale, troppo pasticciato anche dal punto di vista visivo, con troppi alti e bassi, e una narrativa confusa e irrisolta.
Funziona invece abbastanza l'accoppiata Jonathan Price, vecchio sodale e lagato al regista da autentica amicizia, e Adam Driver, seppur quest'ultimo spesso abbandonato a se stesso e costretto a improvvisare, o almeno così mi è sembrato. Dimenticabile e incolore, tra svogliatezza e incapacità, è invece il resto del cast, a partire soprattutto dalle figure femminili, a cui non giova una scrittura dei personaggi semplicistica e incompleta.
VOTO: 5
N.p. Paradossalmente risulta molto più interessante, completo e riuscito il documentario Lost in La Manche del 2002 sui fallimenti dei primi tentativi di realizzarne la pellicola che non la realizzazione finale della pellicola stessa. Se davvero volete comprendere Terry Gilliam, le sue ambizioni e i suoi fantasmi e le vere intenzioni della sua opera, al film finito vi consiglio piuttosto quel documentario che vi dice tutto quello che dovete sapere.
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