Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Toby, regista americano, si trova in Spagna vicino a dove girò dieci anni prima il suo primo lavoro, una rilettura a basso costo del Don Chisciotte. Recandosi nei luoghi delle riprese ritrova il vecchio protagonista, un ex ciabattino ora immerso nella pazzia, convinto di essere realmente il cavaliere vissuto nel Seicento. E che Toby sia Sancho Panza.
Della travagliatissima gestazione di questo film si sa tanto e buona parte è ormai leggenda: Terry Gilliam la fa cominciare addirittura alla fine degli anni Ottanta, cosa che significherebbe una lavorazione all’incirca trentennale; in realtà le prime mosse concrete sono state fatte a partire dal 2000 e, come testimonia Lost in La Mancha (2002), un primo tentativo di film venne dolorosamente abortito quasi subito. Dopo una lunga serie di problematiche relative agli interpreti, a inconvenienti legali e perfino a calamità naturali, ecco che nel 2018 l’ex Monty Python riesce a ultimare il suo L’uomo che uccise Don Chisciotte, con un cast rinnovato ma la stessa, identica voglia di stupire e affabulare che si riconosce al suo autore. Indubbiamente Gilliam si deve essere sentito ispirato di fronte alle pagine di Miguel de Cervantes, così come lo fu Orson Welles che visse un’odissea del tutto simile fra gli anni Cinquanta e i Settanta, cercando invano di mettere insieme il suo film ‘maledetto’ su Don Chisciotte. In questo caso però il risultato c’è stato, infine, ed è un lavoro assolutamente ‘gilliamesque’, nei toni e nelle tematiche care al regista e sceneggiatore (insieme a Tony Grisoni), una perentoria e rutilante cavalcata senza sosta nei territori della follia, perennemente in bilico fra realtà e fantasia, alla ricerca di un ideale impossibile e di un amore, quello per Dulcinea, capace di potenti allucinazioni. Se Adam Driver nei panni di Toby e per traslato di Sancho Panza è sufficientemente convincente, il vero asso nella manica del cast è però il Don Chisciotte di Jonathan Pryce, inarrestabile, inattendibile e in preda a mille fantasticherie sconvolgenti; fra gli altri attori in scena troviamo poi Stellan Skarsgard, Olga Kurylenko, Joana Ribeiro, Jason Watkins, Oscar Jaenada e Paloma Bloyd. La durata di due ore e un quarto non aiuta, considerando la quantità e la roboante qualità del materiale narrativo; se la prima ora e mezza scorre senza particolari intoppi, la sezione conclusiva del film si impenna rapidamente in una spirale di delirio fra scene corali, intensità di azione, sbalzi logici fra realtà e proiezione mentale fino a sembrare un gioco piuttosto fine a sé stesso. Leggiadro però il finale, che spiega il titolo della pellicola senza però intaccare la leggendaria immortalità del cavaliere errante. 6,5/10.
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