Regia di Rupert Wyatt vedi scheda film
Sci-fi di quelli come se ne faceva un tempo, dalla forte impronta sociale e dall'innegabile spirito satirico e anti-sistema. Captive State è una sorta di Essi Vivono in versione dichiarata ed evoluta, pur se realizzato con un modesto budget (25 milioni di dollari). Gli alieni, chiamati I Legislatori, comandano ufficialmente il mondo e lo fanno da un ambiente sotterraneo da cui raramente emergono. Solo pochi eletti possono incontrarli di persona, dopo esser stati profumati e sterilizzati, poiché è opinione comune, tra gli alieni, che gli umani puzzino. Gli extraterrestri, di cui non viene mostrata la discesa (se non attraverso articoli di giornale e resoconti dell'opposizione), hanno costituito un governo umano di rappresentanti politici che si dedicano alla propaganda per convincere i cittadini della grande opportunità offerta dai luminari spaziali. L'azione politica, prima arma da utilizzare e anteporre alla repressione, fornisce i suoi risultati. I cittadini inneggiano al nuovo credo politico, hanno persino accettato di sostituire l'inno nazionale americano con Glory Glory Halleluja, demandando ad altri i propri diritti di voto e la propria capacità di autodeterminarsi. Gli extraterrestri infatti praticano la deportazione su altri pianeti dei dissidenti, condotti a bordo di bizzarre astronavi dalla forma di grandi massi volanti. A interessare al volgo, infatti, è la presunta ripresa economica e sociale millantata dai politici nonché la sensazione di salute e benessere che i legislatori riescono ad accordare.
Rupert Wyatt, produttore, sceneggiatore e regista, plasma per tali vie un distopico a tutti gli effetti mascherato da sci-fi, in cui vediamo un controllo invadente sulla popolazione, con buona pace per le libertà personali e le diverse opinioni. La cittadinanza è monitorata attraverso droni, innesti e telecamere. Non è possibile muoversi senza che la polizia non se ne accorga.
Captive State è dunque Orwell che incontra Carpenter e, come in 1984, ruota attorno alla resistenza e alla lotta condotta dalla polizia per arginare i dissidenti che non hanno più diritto di manifestare e che devono agire attraverso una rete cifrata di messaggi, col ritorno all'uso dei piccioni viaggiatori.
Soggetto dunque più che buono, ma sviluppo macchinoso e a tratti pesante, sebbene vi siano azione e attentati. Caratterizzato più come un horror dalla fotografia cupissima, con dei curiosi alieni (ricci/istrici antropomorfi), Captive State è un prodotto simbolico impreziosito da una manciata di effetti speciali. Bellissima l'inquadratura col cane che abbaia (in modo muto) al cielo notturno con tre strisce di fuoco che tagliano la monotonia nera per piovere sulla città che dorme assopita alle spalle dell'animale. Presente poi l'agonia di un alieno a cui, in una colluttazione, gli viene strappata una sorta di maschera che gli permette di respirare.
Da sottolineare i continui rimandi alla storia, che fungono da proverbiale ciliegina sulla torta. È importante conoscere la storia, esser stati attenti alle lezioni dei professori (come si dice alla fine al giovane protagonista, a colui che rappresenta il futuro dell'umanità), poiché se questo non succede gli errori si ripeteranno nella indifferenza totale e poco importa se i leader siano alieni o siano gli ultimi della categoria. La componente sovversiva è in ognuno di noi, persino in chi si pensa che stia lottando per la parte avversa indossando una divisa. È importante operare il risveglio, rendersi conto di quanto avviene intorno, evitare il lavaggio del cervello e saper soffrire e rinunciare a un presunto vantaggio per conseguirne uno maggiore. Niente è come sembra e a volte i piani sono concepiti perché devono fallire e aprire spiragli imprevisti e ulteriori. La guerra sta per iniziare ma lo scopriremo, forse, in un prossimo film. Apertissimo a sequel e prequel. Discreto.
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