Regia di Ernesto Daranas vedi scheda film
Un piccolo film, quasi un gioiellino di intelligenza e di equilibrio narrativo.
Un po’ di storia
Nel 1991, quando da due anni era crollato il muro di Berlino e si stava definendo il nuovo assetto geo-politico dell’Europa, nell’URSS Gorbaciov aveva gradualmente avviato alcune importanti riforme economiche (perestroika) all’insegna della trasparenza politica e amministrativa (glasnost). Non sarebbe riuscito nell’intento, però, poiché alla metà di agosto un tentativo di colpo di stato, respinto a furor di popolo, aveva favorito l’ascesa di Eltsin, energico sostenitore dell’urgenza immediata di riforme liberali, dello scioglimento del PCUS e della fine dell’Unione Sovietica, che da allora si sarebbe chiamata Russia. Dal maggio del 1991, era stato lanciato nello spazio un astronauta, Sergej Konstantinovic Krikalëv, considerato da molti «l’ultimo cittadino dell’Unione Sovietica», dato che era rientrato in patria agitando la bandiera rossa con tanto di falce e martello, dopo che tra il 1991 e il 1992 aveva trascorso 311 giorni, 20 ore e 1 minuto a bordo della stazione spaziale Mir, mentre sulla Terra l’Unione Sovietica non esisteva più.(Fonti: Wikipedia).
Il film
Questi dati di realtà offrono al regista cubano Ernesto Daranas l’ispirazione per questo film che, rievocando quegli eventi, ripercorre la difficile situazione nella quale Cuba si era trovata, poiché l’isola caraibica, sottoposta a una serie di sanzioni internazionali, era riuscita a sopravvivere solo grazie agli aiuti dell’Unione Sovietica, che, com’era intuibile, probabilmente le sarebbero mancati o si sarebbero presto di molto ridotti.
Il film nasce da un progetto assai ambizioso del regista: quello di intrecciare alle vicende storiche dell’epoca, elementi autobiografici, legati ai suoi ricordi personali (all’Avana, nonostante il lavoro prestigioso, Daranas, come il protagonista del film, Sergio, era costretto a vivere distillando clandestinamente il rhum) ed elementi fantasiosi suggeriti dalla vicenda dell’astronauta Sergej Konstantinovic Krikalëv (che qui diventa il protagonista di un’avventura drammatica, la cui conclusione rimane incerta fino alla fine del film).
Sergio (Tomás Cao) era uno squattrinato professore di filosofia marxista all’Avana, radioamatore per hobby; Sergei (Héctor Noas) era invece il cosmonauta sovietico delle cui disavventure Sergio per caso era venuto a conoscenza attraverso le onde radio: la Russia di Eltzin lo aveva “dimenticato” nello spazio, perché l’operazione per il suo atterraggio sarebbe stata troppo costosa per il nuovo stato, che dopo i drammatici fatti dell’agosto ’91, era impegnato a risparmiare sulla spesa pubblica. La rete dei radioamatori, allertata da Sergio, avrebbe portato a conoscenza della NASA la storia del povero Sergei, quasi rassegnato al proprio terribile destino… In questo racconto non mancano gli aspetti dolorosi (la povertà dignitosa della madre di Sergio, che aveva venduto i ricordi di famiglia per procurare il latte alla nipotina), né quelli grotteschi (la sospettosa compagine del controspionaggio cubano che non vedeva di buon occhio l’attività di radioamatore di Sergio e che si era messa a spiarlo con zelo ottuso). Prevale però in tutto il film la leggerezza di una narrazione senza cattiveria, di un’ironia bonariamente umoristica, talvolta persino malinconica, né mancano le citazioni kubrickiane, per l’Odissea nello spazio di Sergei, accompagnata persino dalle note del valzer di Johan Strauss, che tolgono ogni dubbio sull’ispirazione cinefila del regista. Un piccolo film, quasi un gioiellino di intelligenza e di equilibrio narrativo.
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