Regia di Vittorio Salerno vedi scheda film
Prendete l’Italia di inizio anni ’70, calcolate che gli anni di piombo erano ancora relativamente lontani e comunque il terreno di coltura era già più che fertile; selezionate il filone dei poliziotteschi e trasferitelo nel ponentino di Roma, tra venti gradevoli e ventate di sgradevole ipocrisia; postulate l’ancestrale, atavico senso di sfiducia del cittadino nei confronti della giustizia cattiva consigliera e pessima matrigna (Mamma Giustizia, si sgolano I Nomadi su spartito di Riz Ortolani); mescolate con un po’ del Sordi del Detenuto in attesa di giudizio, un granello di Kafka in salsa trasteverina (Via di Pietralata, 218, per essere toponomasticamente più accurati), una spolverata di teatro dell’assurdo, un pizzico di retorica italiana del tengo famiglia. Otterrete questo No, il caso è felicemente risolto: oggetto filmico spurio e semiclandestino, portato di un cinema di genere che, in fondo, li accoglieva in sé tutti, difficile tentativo di garantire respiro ansiogeno e andamento ansioso ad una storia che vede al centro il male che alligna nell’uomo, e ne registra la sua capacità di attecchire nelle anime candide e/o perverse.
Il film è ingenuo, perché programmatico, dipanato a tesi che sono altrettanti compartimenti stagno; il film è retorico, perché dipinge con registri mai impliciti la stupidità di alcuni uomini (parente stretta di una bontà senza se e senza ma), anteponendola e giustapponendola alla malvagità di altri (quella malvagità che nasce dalla posizione sociale e dalla mefistofelica capacità di sfruttarne gli indubbi atout); ma il film è anche moderatamente comico (il buon Santamaria che parla tra sé e si costruisce con perizia lo status di vittima sacrificale, il giornalista impiccione e sicuro di sé che, in napoletano stretto, istruisce i giovani fotografi e coltiva l’arte di una maieutica tutta partenopea); il film possiede uno strano fascino anemico che, nonostante tu ne sappia riconoscere l’impossibile amalgama, ti inchioda allo schermo, ti fa parteggiare per l’impiegato coglione, ti rende odioso il colto professore frustrato, ti fa ricordare le pagine dell’autore cecoslovacco di cui sopra, antesignano nobile e irraggiungibile di processi intentati senza un perché, vortici di sofferenza, espiazioni non giustificate, mente che vaga in territori confinanti con l’autodistruzione più o meno consapevole.
E dunque, tutto sommato, alla fine il miracolo si avvera: la pellicola tiene. Tra un montaggio alternato che fa rivoltare nella tomba Griffith ed i suoi nipotini (lo stadio gremito avvolto nel silenzio versus il canneto del lago brulicante delle voci di Tutto il calcio minuto per minuto), un commento sonoro che si insinua proprio quando te lo aspetti, alcune pecche clamorose (in una scena sembra proprio che Cerusico abbia i baffi, laddove in quella immediatamente precedente ne era sprovvisto, come progressione cronologica degli eventi pareva aver inconfutabilmente provato), lo spingere i pedali del familismo più becero (il personaggio della bambina che soffre in silenzio è tale da rendere, al confronto, il libro Cuore un trattato di spietato cannibalismo), dopo la visione qualcosa resta. Sarà uno (s)cult talmente bruttarello e pretenzioso da sfiorare vette di sublime, sarà il ritratto smaccatamente populista e para-reazionario di un popolo democraticamente ancora adolescente: No, il caso è felicemente risolto si fa ricordare. Il merito precipuo, diciamolo, va agli attori ed a chi li ha scelti con perfetta consequenzialità. Potreste immaginare un viso più buono di quello dell’eterno ragazzone Enzo Cerusico? Ed un cattivo che non abbia l’espressione accigliata e tendente al cupissimo spleen di Riccardo Cucciolla? Senza parlare di Enrico Maria Salerno, factotum sulle tracce di indizi e prove, gaudente servo della notizia, schiavo del proprio fiuto. C’è chimica tra gli interpreti, c’è un severo rispetto delle consegne. Sì, ma il doppiaggio (pessimo)? E le scene madri, allora? (Cerusico che affronta Cucciolla sulle scale, la bimbetta in bilico su una ringhiera, la prostituta massacrata tra le canne lacustri). Fa niente e fidatevi: ogni volta che lo rivediate, questo film non vi stancherà.
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