Regia di Samuel Fuller vedi scheda film
In questo film la guerra non è quella delle grandi battaglie e delle avanzate degli eserciti, bensì quella delle missioni speciali, ossia delle difficili marce di singoli uomini, che, ad ogni passo, vengono a diretto contatto con il pericolo, con la violenza, con l’orrore dell’assassinio. Il disordine, la povertà di mezzi, l’imprevisto sono gli ingredienti di un’avventura estrema perché marginale, relegata in un maledetto angolo di mondo, mentre le attenzioni delle potenze occidentali sono rivolte altrove. Le coloriture umane, in questa storia di divise lacere che attraversano la giungla birmana, sono, purtroppo, i segni della malattia, le ombre della depressione, il peso della stanchezza e le stonature della follia. Essere vivi significa soffrire, arrancare e delirare; non ci sono obiettivi da conquistare, perché ogni cosa, intorno, è fluida e sfuggente ed andare avanti significa soltanto smuovere foglie, sollevare acqua e polvere, e versare sudore e sangue. L’ambiente non è un campo aperto in cui tracciare strategie, ma è come un labirinto scivoloso, selvaggio e infestato da densi vapori di morte. L’istinto di sopravvivenza è l’unica forza vitale che, in questo quadro aspro e desolato, riesce a diventare una luce intensa e penetrante, che si posa sugli sguardi e sulle pieghe dei volti, restituendo splendore e dignità ad un’umanità sfinita.
Samuel Fuller plasma i suoi personaggi nel bronzo, nella roccia e e nel fango, facendone gli oscuri antieroi della fatica e del tentennamento, della voglia di arrendersi e di tornare a casa, che tuttavia spremono dal proprio corpo, senza un vero perché, fino all’ultima goccia di energia e sopportazione.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta