La recensione su Prendre le large

di alan smithee

7 stelle

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2017 - SELEZIONE UFFICIALE

La vita della solitaria operaia tessile cinquantenne Edith viene sconvolta quando la propria azienda decide di delocalizzare l'attività produttiva in Marocco, licenziando tutta la manodopera, o dando in alternativa l'assurda possibilità di trasferirsi in loco, in un paese musulmano e con condizioni, usi e costumi di vita completamente estranei a quelli di un europeo. La donna tuttavia, pur di non mettersi sotto disoccupazione e cercare lavori invano, accetta la sfida e si trasferisce a Tangeri, dopo aver litigato bruscamente col figlio, raggiunto a Parigi ed appreso solo in quel momento che convive con lo status del pax col suo fidanzato.

Dopo un adattamento travagliato, le cose sembrano un pò migliorare, ma quando la donna diventa paladina della sicurezza delle sue colleghe denunciando certe omertà sulla sicurezza degli impianti tessili non a norma né sicuri, con un imbroglio viene tacciata di truffa e licenziata. Distrutta, ricorrerà ad un lavoro clandestino nei campi, ma sfinita verrà posta in salvo dal figlio, tornato a soccorrerla.

Non si arrenderà e troverà la soluzione migliore per tornare a Tangeri, realizzando il suo sogno di vita con la complicità di una orgogliosa ed indipendente donna locale, titolare della modesta pensione alberghiera che le diede asilo.

E' un piacere ritrovare il bravo regista Gaël Morel, ormai ad alcuni anni di distanza dalla sua ultima opera cinematografica, e con un film di stampo neorealista che solo in una società che rispecchia la nostra negli anni che precedettero il boom anni '60, può trovare la sua più coerente e plausibile soddisfazione.

Senza eccedere in forzati ricatti melodrammatici, Morel ci narra una vicenda di rinascita esemplare, frutto di sacrifici, di cocciutaggine e di una forza interiore inversamente proporzionale alla esilità fisica della tormentata stupenda protagonista, che la naturalmente bella e piacevolmente sciupata Sandrine Bonnaire sa rendere con una regalità in grado di impadronirsi di un personaggio che sarebbe il sogno di ogni attrice orgogliosamente fiera del proprio mestiere.

Qualche inevitabile indulgenza verso la storia omosex inerente il figlio, qualche sguardo malizioso di troppo da parte del figlio della titolare della pensione, che forse Morel avrebbe dovuto cercare di evitare in quanto inutile al fruire della storia, ma il film funziona, la regia è accurata e valorizza le sfaccettature di una moltitudine di protagonisti e figure minori, in un romanzo di "integrazione" e di dialogo tra culture che valorizza anche l'orgoglio della donna, la sua volontà di non piegarsi a sudditanze di usi e costumi che la vogliono ed obbligano a coprirsi il capo dinanzi a sguardi maschili maliziosi, e più in generale celebra la solidarietà di categoria spesso oppressa, avvilita, sfruttata.

Una condizione iniqua che giusto una donna estranea può denunciare, cercando di opporsi nel suo piccolo e nel suo intimo, unendo o sensibilizzando la sua stessa categoria spesso soverchiata e sottomessa dal ricatto subdolo e brutale dell'altro lato, spesso prepotente soverchiante e ferino, della razza umana.

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