Regia di Charles de Meaux vedi scheda film
CINEMA OLTRECONFINE
Nella sontuosa corte imperiale cinese di metà '700, un pittore gesuita francese di nome Jean Denis Attiret si è guadagnato da tempo l'incarico di pittore di corte, attirando regnanti, consorti e altri illustri membri della famiglia reale, verso quel tipo di pittura realista ed impressionista quasi completamente sconosciuta nella cultura locale.
In particolare l'imperatrice Ulanara rimane affascinata dall'opera del pittore, tanto da chiedere al marito l'autorizzazione a farsi ritrarre.
L'impegno della donna nel posare sarà ben più gravoso, ma anche stimolante, di quanto ella stessa poteva in qualche modo preventivare, e l'intesa un po’ ambigua, altrettanto maliziosa che attirerà pittore e musa, sarà in grado di contribuire alla perfezione dell'opera, che rifuggirà inutili gelosie e sospetti maturati a corte nei confronti di quell'uomo così ricettivo della cultura cinese, ma anche così estraneo ad una cultura che appartiene quasi ad un mondo diverso o alternativo al suo, peraltro uomo di chiesa, ma molto ricettivo e talentuoso in fatto di arte.
Per la donna invece, bellissima regnante un po’ relegata a figurina, si tratterà di trovare il carattere per farsi valere come qualcosa di più che un semplice oggetto prezioso utile come arredo.
Per la regia di Charles de Meaux, artista francese celebre per le sue installazioni a metà strada tra scultura, arte pittorica e rappresentazione cinematografica – qui al suo esordio nel cinema di tipo “tradizionale” - Le portrait interdit, prodotto quasi interamente con capitali cinesi, possiede un interessante incipit in cui immagini e bozze disegnate si fondono assieme a ricreare un paesaggio che comunica una evocativa atmosfera di devastazione guerresca; ma poi il film si adagia sulla contemplazione e sulla creazione dell'opera, rivelandosi in realtà piuttosto piatto, non in grado di fornirci un ritratto compiuto e tridimensionale di personaggi che in realtà rimangono pedine sbiadite, soprattutto per quel che riguarda i personaggi dei regnanti.
Senza mai regalarci un'emozione, un sussulto, ma solo statica, contemplativa freddezza attorno a scenografie composte per l'occasione e piuttosto refrattarie, plastiche, plastificate, per nulla evocative della corte che fa capo alla potenza di un impero immenso e magniloquente in cui l'Imperatore è il dio sulla terra.
Né riesce infatti mai in qualche modo a trapelare e a manifestarsi la magnificenza di una reggia imperiale che invece appare limitata alle ristrettezze di qualche veduta di interni e di anonimi giardini, più consoni ad arredare l'entrata di un suggestivo ed un pò kitch ristorante cinese di vaste proporzioni, e nulla più.
L’attore francese Melvil Poupaud (lo abbiamo visto ed apprezzato nel film di Dolan Laurence Anyways, ancora prima nello splendido Racconto d'estate di Rohmer, ed è stato attore di riferimento di tanto cinema di Raoul Ruiz) peraltro mostra tutto l’impegno profuso a recitare in lingua locale cinese, e la sua prestazione appare in fondo molto scrupolosa, pur essendo anche il suo personaggio un po’ troppo poco approfondito nei dettagli inevitabili della sua esistenza precedente nella vecchia Europa.
Fan Bingbing, diva cinese già ammirata di recente al Far East di Udine nel meraviglioso I am not madame Bovary, ha il fascino coerente col suo ruolo, ma la parte a lei assegnata pare rimanere troppo nell’esteriorità, quando ci sarebbe piaciuto intravedere uno studio più approfondito dei caratteri e delle motivazioni che rendono una imperatrice, una donna reclusa e assediata dalle circostanze e dai comportamenti derivanti dall’etichetta di palazzo.
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