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First Reformed - La creazione a rischio

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su First Reformed - La creazione a rischio

di ed wood
9 stelle

Paul Schrader, studioso e teorico del cinema contemplativo/trascendente, sceneggiatore dei capolavori scorsesiani ma anche ammiratore di Dreyer, Ozu e Bresson, capace di ritrarre in maniera lucida e autentica luoghi, volti, storie, modi d’essere dell’homo americanus nel suo habitat (in particolare quello marcatamente losangelino di “American Gigolo”) rimanendo fedele all’immaginario a stelle e strisce, eppure rappresentandolo con modalità più vicine alla sensibilità europea o asiatica, ha portato finalmente a compimento i suoi studi in questo sublime “First Reformed”, dopo un’ondivaga carriera in cui ha alternato colpi di genio (l’allegorico “Hardcore”, il morboso “Autofocus”, il meta-filmico “Canyons”) ad opere irrisolte (“Adam Resurrected”, “Affliction”, “Cortesie per gli ospiti”).

 

First Reformed” non è solo un’opera ispirata ed impeccabile sul piano formale, dove non c’è letteralmente un’inquadratura o una luce fuori posto, ma un profondo, ambiguo, stratificato testo sui massimi sistemi, dove riflessioni morali e teologiche che il 99,99% del cinema attuale di sogna si fondono in modo dialettico ai discorsi sulla più cruciale emergenza politica ed umanitaria dei nostri tempi, quella ecologica. Il “silenzio di Dio” con cui si apre il film è bergmaniano; la figura afflitta del padre luterano è dreyeriana; l’impostazione di fondo (con i continui ricami fra i dialoghi ed un io narrante che viene non dal tempo futuro ma da quello presente, intervenendo in tempo reale, in una naturale dialettica fra azione e riflessione, parola e pensiero che batte Malick sul suo stesso terreno), così come l’attenzione al dettaglio e la grazia finale, sono bressoniane; l’irrazionalismo della levitazione è tarkovskiano; il volo onirico ed estatico su meraviglie della natura ed orrori dell’uomo è herzoghiano: eppure l’insieme è decisamente schraderiano, come dimostra la deriva del protagonista, non così dissimile da quella di Travis Bickle (con la differenza che Travis cercava amore ma non lo trovava, mentre Toller crede di non averne bisogno). In questo, “First Reformed” è preferibile all’altro grande film contemporaneo di ambientazione protestante/americana, “Luz Silenciosa” del messicano Carlos Reygadas, valido ma con una netta sensazione di calco dreyeriano, mentre finisce sostanzialmente pari l’altro duello “mistico”, quello con “Hadewijch” di Bruno Dumont.

 

Al di là della ricchezza contenutistica ed espressiva di tutto ciò che in questo film tratta ed unisce temi morali, religiosi e politici, articolando i concetti di colpa, perdono, responsabilità, espiazione, martirio, sacrificio, grazia, al di là dello stupefacente disegno delle figure secondarie (i burocrati della chiesa, la spasimante corista, l’attivista Michael), al di là della precisa rendicontazione dell’universo “riformato” che caratterizza alcune comunità statunitensi che non impedisce affatto la resa universale del discorso tematico, al di là di un Ethan Hawke credibile in una parte difficile, a testimoniare la complessità e la raffinatezza di “First Reformed” (opera che merita più di una visione) è il ricorrere di alcune tracce apparentemente irrilevanti, come la componente turistica (che ricorre in ben due occasioni, entrambe diversamente ironiche, nella chiesa storica e nell’azienda sponsor), l’importanza simbolica e poetica delle canzoni diegetiche (quella di Neil Young cantata dal coro durante un funerale, quella del finale in chiesa), ma soprattutto la riflessione sulla vittoria del gesto sulla parola, del corpo sul verbo: il diario per Toller non è una catarsi, ma un tormento; il lungo (e memorabile) confronto verbale con Michael porterà ad un suicidio, non alla salvezza; le parole dominano arrogantemente ovunque, anche a caratteri cubitali in mensa; il corpo invece è ciò da cui scaturirà la (tripla) estasi per Toller, quella del “gioco del mistero” con Mary, quella del martirio sanguinolento, quella del bacio nel finale che è un trionfo di grazia ma soprattutto di amore, carnale e divino, amore dato ed amore ricevuto: colei che ama Toller canta, inconsapevole, per quell’uomo emaciato, mentre l’amore di lui esplode fisicamente, disperatamente, misticamente per la sua salvifica Mary.

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