Regia di Emily Atef vedi scheda film
BERLINO 2018 - CONCORSO - CINEMA OLTRECONFINE
Nel 1981 una donna quarantenne di nome Hilde Fritsch raggiunge un albergo sulla costa bretone, presso la località balneare di Quibéron, con l'intento di andare a trovare per pochi giorni un'amica che soggiorna nella elegante struttura, specializzata in cure termali e restabilizzanti. L'amica in questione è un'attrice famosissima: niente meno che Romy Schneider, per tutti, per troppo tempo, inevitabilmente, quasi crudelmente, l'imperatrice Sissi; in realtà splendida, matura attrice con all'attivo oltre cinquanta pellicole, spesso di grandi autori, tuttavia resa schiava, succube e dipendente di quel ruolo giovanile che le diede fortuna, ma che le restò sempre addosso come un giogo, come un confronto scomodo e imbarazzante: "io sono Romy, non sono Sissi", si suole schernire l'attrice.
La troviamo un pò indebolita, stropicciata, affamata a causa di una dietà aggressiva che mira a rimetterla in forma in breve tempo, senza tuttavia turbarla ulteriormente.
Una sigaretta dopo l'altra, ancora scossa per la morte recente del compagno, suicidatosi, con due figli ancora bambini da cui deve per forza sempre allontanarsi (ancora inconsapevole della prossiam tragedia che le porterà via il giovane promogenito), Romy si prepara a ricevere la visita di un noto giornalista, che ha il compito di intervistarla per un articolo che apparirà su una importante rivista settimanale; con lui un fotografo un pò robusto, ma gentile, che sembra ogni volta ravvivare quel tocco di spensieratezza che ogni volta la donna smarrisce nell'angoscia o nell'incertezza.
Ma il giornalista, gentile e quasi imbarazzato all'inizio, rispetterà gli accordi con l'attrice, o la sta maliziosamente e tendenziosamente portando verso una deriva oltre la quale la donna si lascerà andare a confessioni compromettenti, scomode, sconvenienti?
Hilde impiegherà tutti i tre giorni per fare da scudo agli insidiosi ed incalzanti attacchi della stampa, cercando di difendere quell'equilibrio precario al qualepare aggrappata la sua fragile amica.
Attraverso un bianco e nero sfavillante che rende tutto più evocativo e nostalgico, dal mare, ai sassi sulla costa, alla disordinata stanza d'albergo che racchiude, e forse imprigiona, la fragile star, 3 days in Quibéron è la terza, a tratti intensa opera della regista tedesca Emily Atef.
Un film solo eccessivamente lungo, che tuttavia funziona piuttosto bene, soprattutto per rappresentarci i confini labili e fragili di una persona insicura, insieme fortunata per la fama ottenuta, e sfortunata per la prigionia che la lega al suo personaggio simbolo, che da sempre la costringe ad un calvario ossessivo ed ossessionante. Il volto dolente, il fisico addolcito e infiacchito più dalle sregolatezze del bere, che da una maturità solo avviata, sono rese perfettamente nel fisico come nello stato d'animo dalla interpretazione esemplare di Marie Baumer, sosia quasi impressionante della vera Schneider, volto devastato dall'inedia e dalla noia, ma anche talvolta fiero di lasciar trasparire quel proprio contrastato status di regina senza un vero potere decisionale, in realtà schiava di una fama che finisce per sottomettere la Romy donna e attrice, come la tipica vittima di un ricatto crudele, costretta dalle circostanze a sottoporsi ad un confronto perenne ed impossibile, ingrato, ingiustificato tra la donna moderna che è, ed il personaggio mitico e mitizzato di una sovrana idealizzata e quasi santa, figlia di un mondo che è storia passata da troppo tempo, se non favola edulcorata a beneficio di lettori e lettrici, o spettatori e spettatrici, piuttosto facilmente direzionabili ed emotivamente condizionabili.
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