Regia di Iram Haq vedi scheda film
Vuoi per caso, vuoi per merito, ho trovato il film ben riuscito, senza quegli insopportabili pistolotti woke delle produzioni americane.
Viene persino suggerita tra le righe una verità innegabile: le più crudeli e spietate contro le donne sono sempre altre donne (nel caso specifico, la madre e la zia della protagonista). Il padre ne esce tutto sommato come il meno peggio: si preoccupa che i parenti la trattino bene, gli manca il coraggio di ricorrere a misure estreme e addirittura se la riporta in Norvegia, cerca di sistemarla onorevolmente... Insomma, si vede che è la cocca di papà e che il pover'uomo è succube di quella iena della moglie.
Battute a parte, tratta tutto sommato bene un tema molto delicato, cioè il contrasto che vivono sulla propria pelle gli islamici di seconda generazione (cioè, i figli degli immigrati) tra la cultura e le usanze dei propri genitori e quelle, molto più libere, dell'Occidente in cui sono nati e cresciuti.
Senza voler giudicare altre culture (anche perché la situazione, da noi, era simile fino a non troppi anni fa, si pensi a Sedotta e abbandonata o ad alcuni racconti di Don Camillo), casi di cronaca eclatanti dimostrano che il problema è reale.
Alcune scene sono dure da digerire (non riesco nemmeno a concepire che si possa dire a un figlio: "Perché non sei nato morto?", per non parlare di quella sul precipizio), in altre forse si è calcato troppo la mano (gli abusi dei poliziotti), mentre il ritorno in Norvegia suona un po' irreale, anche per l'oggettiva difficoltà, una volta lì, di impedire l'intervento dei servizi sociali (forse puoi segregare una ragazza in Pakistan, ma in Norvegia mi sembra quasi impossibile). Nel complesso l'ho comunque apprezzato. Voto: 7 su 10.
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