Regia di Alan Rudolph vedi scheda film
Sulla carta, è allettante. Un gruppo di persone, stimolate dalla paga profumata, accetta di sottoporsi ad un esperimento da cavie umane: restare chiusi in un finto carcere per quattordici giorni, divisi in due gruppi, secondini e detenuti, sotto l’occhio costante dei medici. Tra loro, anche un giornalista in incognito. Più i giorni passano, e più la tensione aumenta, perché c’è chi ci prende gusto. Eppure si tratta di uno di quei film che deludono perché non hanno il coraggio di andare fino in fondo, o perlomeno fino a dove promettono. “L’esperimento” (ispirato a un fatto reale avvenuto nella prigione Stanford-Usa nel 1971) sembra gettare il sasso e poi togliere subito la mano: non affonda, non graffia. E non fa nemmeno tanto male: violenza e crudezza sono presenti, ma fanno arrabbiare, perché troppo calcolate e programmate. Vecchia, inoltre, la morale della bestia dentro ognuno di noi e del potere come illusione tragica. Che poi lo spettatore venga coinvolto dagli eventi e dal montare della storia, è indubbio. E gli interpreti sanno fare il loro mestiere. Ma la cosa migliore resta il finale, all’esterno, come di genere, quasi una costola zombi romeriana: una chiusa che si stacca dal resto.
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