Regia di Nizamettin Ariç vedi scheda film
È il 1988, Beko e Cemal sono due fratelli curdi che vivono nel Kurdistan turco. Cemal vuole evitare il servizio militare per non dover sparare alla sua stessa gente e decide così di andare nel Kurdistan iracheno ad unirsi ai partigiani Peshmerga. Quando i militari mandati a cercarlo non lo trovano arrestano Beko, che però riesce subito a fuggire grazie a uno scontro a fuoco che distrae i soldati. Beko decide allora di raggiungere il fratello, passa prima in Siria e lì si aggrega ad alcuni Peshmerga diretti in Iraq. Questi lo conducono fino ad un accampamento sugli altipiani dove dovrà aspettare che qualcuno gli porti le notizie raccolte. A pochi chilometri di distanza Iran e Iraq sono in guerra e molti curdi si sono rifugiati tra le montagne. Nel campo di Beko ci sono quasi solo donne e bambini, molti dei quali orfani. Beko trova il modo di conquistarli e farli sorridere, sviluppa un rapporto speciale soprattutto con la piccola Zinè, un'orfana particolarmente chiusa e taciturna.
Passano i mesi e finalmente arriva la notizia che la guerra tra Iran e Iraq è finita. Al tempo stesso, però, a Beko viene riferito che nessuno tra i vari gruppi di Peshmerga sa niente di suo fratello. Beko non sa che fare. Gran parte dell'accampamento ha deciso di tornare subito a valle insieme ai bambini e Zinè lo convince ad andare a vivere con loro in paese. Le case dove abitavano sono da ricostruire ma nessuno si lascia prendere dallo sconforto. Beko si offre di recarsi di nuovo all'accampamento per prendere quel che hanno lasciato dei loro averi. Quando torna a valle, da lontano vede un elicottero rilasciare una nube rossa dove vive la sua nuova comunità. Si precipita ma trova solo morti. Poi trova Zinè. Si accorge che il corpo della bambina risponde. Subito la prende in braccio e corre via.
Ritroviamo Beko in una città tedesca, va spesso a trovare Zinè in ospedale ma lei non vede e non parla. Il film non ci dice se potrà salvarsi. Alla fine tra i molti curdi espatriati Beko incontra qualcuno che sa cos'è successo al fratello. Cemal è stato preso prima di poter lasciare la Turchia e costretto a fare il servizio militare. Nell'ultima scena lo vediamo in divisa insieme ad altri soldati durante una perlustrazione. Il gruppo subisce un'imboscata e Cemal cade a terra morto, forse proprio per mano di un curdo.
Il regista e protagonista di UN CANTO PER BEKO, Nizamettin Ariç, è noto soprattutto come cantante e musicista. È di Agri, nel Kurdistan turco. Dopo il colpo di stato del 1980 viene accusato di propaganda per aver cantato una canzone d'amore in curdo durante un concerto. Viene arrestato e condannato a quindici anni di carcere ma riesce a fuggire in Germania. Nel 1984 ottiene asilo politico e riprende a lavorare come cantante e compositore di colonne sonore.
UN CANTO PER BEKO ha la forza e la semplicità di una tragedia vissuta. Ariç è un esule come Beko, sa cosa vuol dire essere curdo in Turchia e in Iraq e sa come la sua gente è stata oppressa e decimata in quel martoriato angolo di mondo.
È un film importante in quanto opera di denuncia ma anche perché dà letteralmente voce ad un popolo che la comunità internazionale ha dimenticato e reso invisibile (tranne quando serviva per giustificare guerre utili). È infatti il primo film in lingua curda della storia del cinema, una testimonianza d'identità necessaria e anche una orgogliosa rivendicazione in risposta a chi ha costretto Ariç all'esilio.
Nel Kurdistan turco, dice Beko, c'è chi è convinto che nel Kurdistan iracheno ci siano "zone libere" ma una volta in Iraq trova chi si appresta ad andare in Turchia per la stessa ragione. È lo specchio di un popolo in fuga continua, senza stato e senza pace, costretto infine a disperdersi per il mondo. Un popolo fatto di famiglie dilaniate o divise, di fratelli persi, di una marea di orfani lasciati "crescere come selvaggi", come dice la donna a capo dell'accampamento.
Lo stile del racconto è essenziale, non spreca parole e non cede mai ad accenti retorici, urlati o rigonfi, neanche quando la tragedia diventa insostenibile. Tutta la vicenda è narrata con la naturalezza di chi parla della propria vita quotidiana. È la stessa semplicità (non povertà) delle persone ritratte ed è frutto del rispetto e della partecipazione ai loro drammi. Ariç possiede tatto e misura. Spesso lascia parlare le immagini e i volti della sua gente ma da compositore esperto sa stilizzare la scena più atroce riducendo la musica al suo aspetto più semplice, assordante e spaesato, laddove il resto della storia è invece percorsa senza strafare da musiche tradizionali (spesso più che altro suggestioni sonore).
Alla realtà di esilio e di fuga dalle persecuzioni si affianca, all'interno del film, un momento di pausa nell'accampamento degli orfani, ricostruito sugli altipiani dell'Armenia vicino al monte Ararat. È uno scenario morbido, protettivo e senza tempo (per quanto rotto a volte dal rombo dei caccia che riportano memorie di morte tra i bambini). Il paesaggio degli altipiani testimonia del rapporto orgoglioso e quasi idilliaco dei curdi con la loro terra, le montagne, un passato di libertà, la vita tradizionale dei pastori in cui si ha sempre qualcosa per cui essere grati. Quel che prevale sono le descrizioni dei rapporti umani, dell'accoglienza e della solidarietà con cui la comunità si prende cura di tutti dando il poco che ha. Quel che conta è far sorridere i bambini, trasmettere loro l'orgoglio di avere un talento, farli esprimere, tramandare la lingua e l'identità di un popolo: "Siamo curdi, la nostria patria è il Kurdistan. Libro, cavallo, bandiera", ripetono gli scolari dell'accampamento.
Nel 1988 l'Iraq, durante i negoziati di pace con l'Iran, lanciò un'offensiva con armi chimiche contro zone controllate dai curdi.
Tra il 1987 e il 1988 Saddam Hussein utilizzò le armi chimiche almeno sessanta volte contro villaggi curdi, uccidendo tra le 60.000 e le 100.000 persone (fonte: Human Rights Watch).
I sopravvissuti ad attacchi con armi chimiche soffrono di spaventosi difetti genetici, lesioni della pelle, malattie respiratorie, tumori aggressivi, aborti spontanei e malattie cardiache.
DA UN'INTERVISTA DEL1996 A NIZAMETTIN ARIÇ:
"I curdi devono sempre scegliere tra il rimanere in patria e l'esilio: è il dramma che tocca i due fratelli, nel film. Se Lei non fosse stato arrestato dai turchi, quale sarebbe stata la Sua scelta?"
Ariç: "In realtà non c'è scelta alcuna, quindi non posso rispondere alla domanda. Fa parte del problema il fatto di non avere possibilità di scelta."
"Qual è il sentimento che la Sua musica comunica (che, all'inizio del film, sembra così nostalgica) ? La Sua era una sceneggiatura inattaccabile oppure il "work in progress" ha preso il sopravvento durante le riprese in Armenia?"
Ariç: "La musica e il ritmo si completano a vicenda: troviamo, suoni, silenzi, respiri. E' come cantare una canzone. La sceneggiatura si è sviluppata con quest'idea. Era molto precisa e sottolineava i dettagli che desideravamo evidenziare "dall'interno". Gli elementi narrativi legati alla guerra vengono raccontati minuziosamente: sguardi, gesti, un saluto di benvenuto, la grafia di un bambino, un appello, una decisione... Tutto il film è percorso da un sottile filo rosso emotivo, arricchito da un paesaggio incontaminato e dalla luce autunnale degli altipiani vicini al monte Ararat. Lavoravamo con attori non professionisti: dovevamo, quindi, capire le loro peculiarità, dal momento che erano pastori con le loro famiglie. Ma il concentrarci sugli elementi interiori ci ha permesso di arricchire tutte le nostre idee di sceneggiatura e di aggiungere delle immagini bellissime, una specie di "regalo" fattoci dal paesaggio, dagli animali, dalla gente, dalla luce e dal clima. Vi sono stati dei problemi al momento del montaggio: il primo montatore aveva un'idea diversa del ritmo - europea, direi - e ho dovuto, quindi, battermi perché il mio stile narrativo fosse pienamente rispettato."
"I curdi sono un popolo senza stato e costituzione, nel bel mezzo di un Islam in conflitto permanente. In che modo, quindi, potrà il Kurdistan diventare un'unica nazione?"
Ariç: "Ritengo che la divisione dell'Islam non abbia molto a che vedere con la domanda. Tutti i nostri oppressori appartengono a differenti correnti religiose, ma ciò non ha loro impedito di compiere le più efferate violazioni dei diritti umani. Nessun paese islamico ha mai fatto alcunché per i curdi, anche se molti curdi sono di religione musulmana. Ciò dimostra il nostro isolamento. I cristiani e gli ebrei hanno sempre avuto degli alleati, non sono mai stati soli come noi. Secondo me, vi è un'unica possibilità: che i curdi comprendano l'importanza di lottare uniti, instaurando una maggiore collaborazione tra i vari gruppi e partiti. Non abbiamo mai avuto la possibilità di sviluppare la nostra comunità, ma dobbiamo capire che nessuno lo farà al posto nostro. Dobbiamo agire da soli e subire tutte le conseguenze degli eventuali errori: bisogna imparare dagli errori e saper discutere senza dogmi. Vanno incoraggiate le azioni politiche costruttive e realistiche; potremo così prepararci all'autodeterminazione ed alla democrazia. Sarà un bene per noi e per i nostri figli. In caso contrario, non saremo mai abbastanza forti, e, di conseguenza, realisti e convincenti. Un popolo di trenta milioni di persone ha diritto all'autodeterminazione, ma deve anche prepararsi ad ottenerla. Dobbiamo saper trovare l'aiuto e il sostegno di altri popoli. Sono certo che ci riusciremo e vi chiedo aiuto: ne abbiamo veramente bisogno."
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta