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An Impossible Love

Regia di Catherine Corsini vedi scheda film

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La recensione su An Impossible Love

di alan smithee
5 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Una storia d'amore lunga cinquant'anni, tra passione, ripicche, prese di posizione, umiliazioni, ed un episodio sconcertante colpevolmente tenuto sottaciuto per un quieto vivere peraltro mai effettivamente raggiunto.

Rache in quegli anni è una impiegata di provincia di circa venticinque anni, bella e bionda, in grado di attirare le attenzioni degli uomini che le passano dinanzi. Tra questi, la spunta un giovane di buona famiglia, Philippe, probabilmente di qualche anno più giovane, che instaura con la donna una relazione amorosa intensa quanto destinata a breve durata, almeno ufficialmente. Un rapporto che avrà come frutto la nascita di una bambina, io narrante di tutta la vicenda. Per tutti gli anni che seguiranno, da una parte la madre tenterà tenacemente di far riconoscere la figlia dall'uomo, che per lungo tempo negherà a causa principalmente della diversa classe sociale a cui i due appartengono, mentre dall'altra l'uomo, un farabutto gentiluomo (almeno in apparenza...) non riuscirà mai ad abbandonare definitivamente la sua mante ideale, meglio, molto meglio della donna che egli sarà tenuto a sposare per conservare il lustro del rango di appartenenza.

E Rache, per tutti gli anni a seguire, non vorrà mai nulla per sé, ma solo quel riconoscimento di paternità che riabiliti la figlia, togliendole di dosso l'umiliante fardello della dicitura "di padre sconosciuto".

Ma la donna non può immaginare ciò che realmente succede negli anni in cui la figlia cresce sino a diventare adulta.

Il ritorno in regia della direttrice del riuscito "La belle saison", Catherine Corsini, è contrassegnato da un ritratto d'epoca che nasconde una tragedia dentro la tragedia. e sviluppa una storia lunga cinquant'anni attraverso un attento sfondo coreografico che segna il passo al trascorrere degli anni.

Bravi e convincenti gli interpreti, con la Virginie Efira che pare la Kathleen Turner di Peggy Sue per come è costretta prima a ringiovanirsi e poi ad invecchiare, e Niels Schneider insolitamente corvino, un po' difficile da riuscire ad invecchiare con efficacia.

Il film, talvolta un po' prolisso, e troppo poco propenso a prendere una posizione ufficiale di sdegno su una problematica centrale, anzi una vera e propria tragedia, ed un crimine, che costituisce il fulcro dell'intreccio (e che in questa sede non è possibile riferire) è caratterizzato da un particolare che mi sta a cuore in particolare per una concomitanza affettivo/personale: nel voler rappresentare il porto di Nizza negli anni '60 - ove quella precaria famiglia trascorre un breve periodo di vacanza - la produzione ha scelto opportunamente (oltre a qualche scena ambientata nella vecchia ed ormai ex stazione di Imperia Porto Maurizio) il più piccolo e contenuto, ma assai caratteristico porto commerciale di Imperia Oneglia, la mia città: un anfratto antico che conserva ancora i tratti di storia ormai lontani, e che nel film aggiunge fascino pertinente con l'epoca rappresentata.

 

 
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