Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film
É ammirevole l'intuizione di Pawlikowski di raccontare una storia d'amore sullo sfondo dei grandi cambiamenti sociali e culturali della Polonia postguerra, nella svolta verso lo Stanilismo che portò verso una forzata egemonia un Paese una volta costituito da innumerevoli identità diverse.
I primi minuti del film irrompono così, con una forte ed ambiziosa promessa, corredata da una stupenda fotografia in bianco e nero che già avevo apprezzato nel suo lavoro precedente, Ida.
Anche la musica è vera protagonista del film, che descrive nella propria trasformazione i canti popolari in inni e balli di propaganda, fino al jazz.
Ma la promessa non è mantenuta, e fa rimpiangere la storia meno gridata di Ida, fa rimpiangere una giusta lentezza e profondità del racconto, di affezione ai personaggi, di equilibrio formale. Nel lavoro precedente di Pawlikowski, perdonavo qualche deriva esteticista ed un lieve profumo di cliché.
Inspiegabilmente Cold War si rompe letteralmente, come una tosse stizzosa si frammenta trasformando le scene in vignette di un fumetto viste chissà quante altre volte, la perfezione fotografica comincia ad essere eccessiva e debordante, assolutamente cosmetica nel disequilibrio con la storia che non solamente sfiora ma abbraccia a piene mani la banalità.
I cambiamenti storici mostrano pallidi effetti sui protagonisti, ai quali non si riesce nemmeno ad affezionarsi nel meccanismo algido e rapido del montaggio.
Alla fine del film le lancette indicano che son passati 80 minuti, solamente 80 minuti di singhiozzante e deludente deriva Hollywoodiana per descrivere un importante periodo storico e sociale.
Purtroppo il fiume di premi e di critiche positive piegate al consumo non fanno ben sperare sulla possibilità del regista di tornare sui propri passi. Davvero un peccato.
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