Regia di Björn Runge vedi scheda film
"No country for talented woman", verrebbe da pensare guardando questo sconcertante, ma non certo campato per aria, The wife.
Le figure dei cosiddetti "ghost writer" sono in voga ormai da decenni, impegnati soprattutto ad intervenire in soccorso di personaggi famosi alle prese con la stesura della propria autobiografia.
Qui il congegno messo in atto quasi per caso, suggella una storia d'amore intensa che si trasforma poco per volta in uno sfruttamento, ovvero nel progressivo svuotamento della personalità soccombente (guarda caso quello della donna), a vantaggio di quella dominante, che finisce per assurgere a livelli di primo rilievo. Fino a meritarsi un Premio Nobel alla Letteratura, quando scaturisce che la presenza della moglie non è solo quella di una musa ispiratrice, ma di una vera e propria autrice autonoma ed ispirata, celata sotto le spoglie del marito, nel frattempo salito agli altari della fama, col successo di romanzi apprezzatissimi, scritti in realtà dalla moglie.
Condizione critica a cui erano condannate, dal dopo guerra sino al più recente passato, gli autori colpevoli solamente di appartenere al genere femminile, di fatto automaticamente allontanato dalla possibilità di godere del meritato successo letterario molto più entusiasticamente riservato all'altro sesso.
Il momento fatidico e goccia che fa traboccare un vaso pieno di prevaricazioni, non solo per l'inganno epocale, ma anche per le numerose tresche del marito, coperte da un perdono rassegnato e formale in nome una tranquillità domestica altrimenti intaccata irreparabilmente, risulterà quello della consegna del Premio Nobel, che viene assegnato all'eminente scrittore. Una dedica strappalacrime e giudicata inopportuna dalla beneficiaria, avvenuta nel momento della consegna, e tutta una serie di dissidi familiari messi subdolamente a tacere, fanno esplodere la miccia.
Ne emerge una figura di donna e moglie coscienziosa, che trasforma questo suo sussieghevole, pudico comportamento, in un sacrificio eroico, ricambiato con un atteggiamento sbruffone e superficiale da parte del marito-star.
Per la regia di un cineasta svedese, Bjorn Runge, che godette di stima ufficiale con quel Daybreak che si guadagnò l'Orso d'Argento al Festival di Berlino, The wife - Vivere nell'ombra vale la pena soprattutto per la presenza di due attori giganteschi come Jonathan Pryce e Glenn Close. In particolare quest'ultima ci offre l'ennesima prestazione straordinaria, in grado di salvare il salvabile all'interno di un film sceneggiato con una certa pedanteria (anche i numerosi flash-back appaiono "incollati" in modo spesso posticcio), e diretto senza verve alcuna, ma con un mestiere routinario di chi probabilmente si sente già col risultato in mano, grazie alla primarietà degli ingredienti attoriali prescelti.
Una candidatura Oscar per l'ottima attrice, e magari un premio sia pur inevitabilmente risarcitorio per tutte le volte andate in buca, risulterebbe opportuno e per nulla azzardato.
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