Regia di Andrea Segre vedi scheda film
Ottimo spunto di attualità, non sfruttato a dovere. L'ordine delle cose del cinema italiano
Andrea Segre è l’erede giusto del cinema minimalista italiano: toni bassi, temi sociali d’attualità, attori in sottrazione, vita quotidiana, calma piatta…anche troppo! Con L’ORDINE DELLE COSE il soggetto vola alto: raccontare la missione di un funzionario di polizia del Ministero dell’Interno per risolvere il problema degli sbarchi alla radice, in Libia. In soldoni, trovare un accordo coi rappresentanti del frammentato potere tribale libico per bloccare il flusso di sbarchi nel mare nostrum. In uno dei centri di accoglienza che raccolgono i migranti provenienti dall’interno dell’Africa il protagonista Corrado, con i suoi collaboratori in loco, riscontra la brutalità con cui vengono detenuti uomini e donne. Una donna somala riesce a consegnarli una microcard da consegnare ad uno zio a Roma. Corrado conosce e tocca con mano il dramma il dramma di una persona (on line come vogliono i tempi), nella seconda parte del film prova a realizzare il suo sogno di raggiungere il marito in Finlandia. Prevarrà la ragion di Stato.
Corrado è un uomo meticoloso, amante dell’ordine e della famiglia. Segre ci mostra il cinismo sottile delle istituzioni rappresentate principalmente dal sottosegretario (Roberto Citran) e dal ministro (F. Russo Alesi). Il lato umano è dato da Terranova (Fabrizio Ferracane) e da Coiazzi (Giuseppe Battiston), ma il dovere istituzionale è sempre dietro l’angolo.
Segre insiste troppo (è il solito limite del cinema italiano) su alcuni aspetti di vita familiare: la moglie, i figli, qualche piccolo aneddoto professionale che raffreddano l’empatia e rallentano ulteriormente il ritmo. Corrado alla fine preferisce l’ordine delle cose, l’egoismo, il rifugiarsi nel piattume familiare borghese invece che aiutare Swada. Paolo Pierobon nell’ultimo primo piano con le cuffie strappa una espressione di umanità. Sono gli italiani che voltano la faccia ad un dramma epocale non ancora concluso. Perché tenere tutto su un livello minimal? Perché non emanciparsi da questo stile? Ne avrebbe beneficiato il messaggio non indifferente de L’ORDINE DELLE COSE.
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