Regia di Alfred Hitchcock vedi scheda film
Dopo la sfuggente e cinica "Rebecca" Alfred Hitchcock fu prestato da Selznick alla United Artist per la quale girò nella primavera del 1940 "Foreign correspondent" tradotto in Italiano a seconda delle uscite come "Il prigioniero di Amsterdam" o "Corrispondente 17". Il film ottenne un grande successo pur presentandosi in una confezione decisamente diversa rispetto al predecessore. "Foreign correspondent" poteva già considerarsi un film americano, molto più di quanto non lo fosse Rebecca. Il nuovo film di Hitchcock non dedicava risorse eccessive all'introspezione psicologica e rinunciava ad una certa teatralità per far spazio al movimento, a continui cambi di scenario, a sequenze d'azione di forte impatto emotivo. Hitchcock metteva in scena un film di spionaggio nell'Europa minacciata dalla guerra che non rinunciava allo spettacolo e alla propaganda bellica pur mantenendosi sul vago in ottemperanza alle regole vigenti. La seconda guerra mondiale era già iniziata nel 1939 con l'invasione della Polonia e nell'agosto del '40 quando il film uscì negli Stati Uniti era già cominciata la Battaglia d'Inghilterra. Perciò il film rifletteva le ansie degli Stati Uniti, che sarebbero diventate reali con l'attacco a Pearl Harbor, e quelle del maestro, angosciato per le sorti del proprio paese.
I protagonisti del racconto erano John Jones (Joel McRea), un giovane e rampante reporter americano senza troppa esperienza, inviato a Londra come corrispondente di guerra, e la giovane Carol Fisher (Laraine Day), attivista e figlia di un importante membro del Partito Pacifista europeo, coinvolti nella misteriosa morte di un diplomatico olandese.
Hitchcock passava spavaldamente da Londra ad Amsterdam, dalle campagne olandesi all'oceano Atlantico ricostruendo minuziosamente il tutto negli studios hollywoodiani. Attratto dalla verticalità che farà la fortuna di "Vertigo" il maestro girava alcune sequenze mozzafiato all'interno di un mulino a vento ed una sulla torre di Westminster. Nella seconda, in particolare, optava per una ripresa in soggettiva sul vuoto sottostante provocando nello spettatore una fitta allo stomaco. Lo stacco sulla drammatica e spaventosa caduta, grazie ad una ripresa dal basso e da lontano, alleggeriva, di fatto, il peso dell'angoscia indotta dal via vai di turisti e dai tentativi, non andati a buon fine, di uccidere il protagonista gettandolo dalla balaustra. Un gioiello la ripresa dell'omicidio nella piazza di Amsterdam tra ombrelli aperti, tutti uguali e tutti neri, che evocando le suggestioni surrealiste di un quadro di Magritte, proteggevano l'assassino in fuga.
L'omicidio del vecchio separava la prima parte, d'introduzione al personaggio di Jones, da quella successiva, costruita sull'azione e sull'intrattenimento. Nella seconda il giovane ed ambizioso reporter, con la complicità dell'avvenente ragazza e di un collega giornalista (George Sanders), sventava un piano potenzialmente determinante per gli esiti dell'imminente conflitto. Un piano che naufragava nelle gelide acque dell'Atlantico quando i primi spari raggiungevano il veivolo che avrebbe tratto in salvo il traditore.
L'ultima parte del racconto languiva nell'ammissione di colpevolezza, si accendeva nei colpi che raggiungevano la carlinga, avvinceva nella tragedia dell'ammaraggio. Qualcuno ha visto nel sacrificio di Fisher una sorta di espiazione per la presa di posizione a favore del nazismo. Francamente vi ho notato la volontà di fuggire alle proprie responsabilità dinnanzi ad un tribunale.
Gli ultimi minuti appesantivano il risultato pagando dazio alla propaganda bellica americana che cercava di mutare il sentimento antimilitarista di chi non vedeva di buon occhio un intervento statunitense nel conflitto. Miss Fisher acconsentiva che venissero pubblicati i fatti che avrebbero infangato il buon nome della famiglia per rendere merito alla giustizia e rendere pubblico il tradimento dei principi morali abbracciati dal partito di cui faceva parte. Nel finale posticcio, aggiunto successivamente ad un viaggio a Londra del maestro, quando il film era già ultimato, Jones consegnava al giornale, sotto il naso dei militari, uno scoop sulla situazione dell'Europa sull'orlo del precipizio. Il pezzo di Jones avrebbe svolto un imprescindibile servizio informativo e allo stesso tempo avrebbe incentivato il lettore a prendere una posizione di fronte all'avanzata del nemico, non solo in Europa.
Lontano dall'amata Inghilterra, e dilaniato per l'assenza dal suolo patrio Alfred Hitchcock potè alleggerirsi l'animo usando il cinema per veicolare sentimenti antifascisti invitando ciascuno, secondo le proprie possibilità, a fare la propria parte per sconfiggere la tirannia. In un simile scenario il topos classico della narrativa hitchcockiana, il cittadino comune che lottava contro forze misteriose e più grandi di lui, riusciva a coinvolgere lo spettatore fino a farlo sentire parte di un'impresa superiore alle proprie singole e deboli forze.
"Il prigioniero di Amsterdam" era, dunque, un film che rispecchiava tempi di grande incertezza e per questo si abbandonava ad un certa retorica pur essendo quest'ultima incapace di influenzare il risultato finale, a sua volta condizionato dalla felice messa in scena del maestro del pathos ma, pure, da un pretesto narrativo debole e dall'assenza di chiarimenti su taluni aspetti della narrazione.
I tempi incerti che viviamo rendono questo film decisamente più interessante e degno di recupero.
Durante il galà di Amsterdam si poteva toccare con mano l'incredulità degli ospiti di fronte al possibile inizio dei combattimenti nel Vecchio Continente. Una sensazione vissuta di recente davanti alle obiettive ragioni che avrebbero escluso la riprese delle ostilità sul territorio dell'Europa dell'Est mettendo in pericolo le poche certezze rimaste di questi tempi. (V.o.s.)
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