Regia di Marco Dutra, Juliana Rojas vedi scheda film
Complessa metafora sulle condizioni di famiglie allargate, figli adottivi e madri lesbiche. Dal Brasile un film suddiviso in due (lunghi) atti. Non catalogabile in un genere specifico ma sorprendente per un tipo di originalità narrativa che supera le carenze tecniche della modesta produzione.
San Paulo (Brasile). Clara (Isabél Zuaa), ragazza single di colore, si trova in gravi condizioni finanziarie non riuscendo più a coprire l'affitto. Trova lavoro come governante presso Ana (Marjorie Estiano) donna benestante, in prossimità del parto. Clara scopre che Ana, nelle notti di plenilunio, soffre di una rara forma di sonnambulismo. Non solo: manifesta tendenze omoerotiche, finendo per sedurla. La gravidanza di Ana esplode, improvvisamente, durante una notte di Luna piena. Il bambino è infatti stato concepito -durante un rapporto occasionale- con un ragazzo affetto da licantropia.
Insolito film brasiliano, frutto della collaborazione (in regia e ai testi) di Marco Dutras e Juliana Rojas. As boas maneiras, coproduzione tra Brasile, Francia e Germania, in realtà manifesta una natura prettamente brasiliana. Non solo perché il cast tecnico/artistico appartiene a questa nazione, ma per un approccio al metodo (lento, insinuante, poliedrico) che esula completamente dal contesto europeo. Ad esempio, difficile -per non dire impossibile- diventa non solo catalogarlo nei confini dei generi cinematografici, ma soprattutto accostarlo a titoli precedenti.
Originale nel suo progressivo sconfinamento (parte come un dramma, accosta l'horror, finisce nel fantastico) e sorprendente innanzitutto per il minimalismo di messa in scena, vivacizzato dal riuscito inserimento del brano Can't take my eyes off you, posizionato all'inizio del secondo atto e coincidente con un tentativo (quasi) "musical", inaspettatamente intrapreso dal film. Film ch'è privo di una regia che non vada oltre l'accademico, con riprese a macchina fissa, nessun carrello, virtuosismo tecnico o punto macchina insolito. In questa conformità di stile, sta invece un vorticoso, incontenibile j'accuse alla società moderna. Il piccolo Joel, che ha il triste sguardo del promettente Miguel Lobo, non può non far sorgere il sospetto di essere vittima non della Luna piena, ma di un conclamato pregiudizio che -alle soglie del terzo millennio- confina in "catene" i diversi. Figlio illegittimo, cresciuto da una lesbica, per giunta di colore: ce n'è abbastanza per inserire un dubbio, non del tutto infondato, ovvero che i due autori abbiamo volutamente trattato la sceneggiatura in maniera allegorica. "Grandi occhi, grande bocca, grandi mani", sentenzia il medico ad Ana durante una ecografia pre-parto: la metafora presente nella favola di Cappuccetto Rosso viene ricordata non a caso. Un chiaro indizio che ci troviamo di fronte ad un lavoro stratificato e complesso, diviso in due lunghi atti (con un secondo tempo più spettacolare) che scende a patti con il prevedibile gusto del pubblico, mettendo in scena le trasformazioni del "lupetto mannaro" in maniera pressoché simile al modello di Landis. Con garbo, in modo delicato, con buone maniere appunto, lo spettatore viene condotto in un commovente esempio di affetto impossibile (quello inossidabile tra Clara e Joel), condannato a priori dalla folla inferocita nel finale, che dovrebbe invece imparare a vivere e lasciar vivere... As boas maneiras!
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