Regia di Kate Mulleavy, Laura Mulleavy vedi scheda film
Thinkin' of blue thunder
Singin' to myself
Thinkin' how fast it moves
Feelin how it turns
(Blue Thunder, Galaxie 500, da On Fire)
Può un abisso schizofrenico diventare una commovente poesia? Possono convivere nella stessa pellicola Jonas Mekas, Terrence Malick e Harmony Korine? Woodshock è il miracolo che ci urla in faccia di sì.
Woodshock è il lento fondersi di differenti dimensioni: il Sogno e la Realtà, l'Io e il Tutto, la Civiltà e la Natura. Torna all'Eden vontrieriano lasciando la donna (vontrieriana Kirsten Dunst) da sola immersa nei suoi incubi. Il bosco è l'ambientazione dei suoi continui sogni/ricordi, memorie di tempi candidi irraggiungibili, ma qualcosa sembra inquinare quei luoghi: un rimorso?, una perdita?, un rancore? Theresa non distingue più i contorni delle cose, le superfici delle cose sono macchiate di nostalgia e profezie, e anche per lo spettatore la superficie vivida dell'immagine non è più una garanzia, perché può improvvisamente sprofondare, rivelare il consueto inganno della bidimensionalità. Ogni oggetto è potenzialmente un prisma di luce, che riflette l'infinità dei colori. Nello stacco di montaggio sta quella tensione osmotica fra le parti, fra le dimensioni, come se i cambi di inquadratura fossero membrane semipermeabili di mondi distanti che potrebbero incrociarsi, e che durante Woodshock vanno sempre più incrociandosi.
La trama di Woodshock è talmente esile che si farebbero eccessive anticipazioni anche raccontandone il minimo sviluppo, ma tanto è un pretesto, o il mezzo per compiere un miracolo: può farsi un lungometraggio narrativo che conviva con le sperimentazioni neo-avanguardistiche newyorkesi degli anni '50 e '60? Possono i fiori di Marie Menken e i lampeggiamenti di Peter Kubelka intervallare la storia di una giovane depressa che aiuta chi vuole farla finita a morire?
Nel tentativo di affrontare la morte che la circonda da ogni lato, per resa volontaria o per scherzo del destino, Theresa decide di prendere il volo (The VVitch di Robert Eggers), e diventare un tutt'uno con quel mondo interiore che forse è il passato, forse è già il futuro, forse è solo la malattia mentale. Vantando in colonna sonora Television e Galaxie 500 (che insieme all'original soundtrack conferiscono all'intero film una patina fiabesca), Woodshock scoppia in mille pezzetti, abbandona la linearità per arrendersi (in un incipit e in un finale entusiasmanti e così belli da far piangere) all'istinto, al subliminale, all'osmosi delle parti, all'epilessia, di fatto al Cinema, ormai tanto profondo che per guardarlo non c'è neanche più bisogno degli occhi.
Accolto freddamente dalla stampa in una sezione collaterale di Venezia 74, di certo uno dei capolavori dell'intera rassegna.
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