Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
Quando non c’è la prova, rimane sempre una leggenda. Anche nel momento in cui la realtà, forse, resta una storia più vera, concreta e reale. Pardon: migliore.
Sempre meglio del cinema medio francese, ovvero: Gian Filippo Corticelli / 3 (“Nessuno si Salva da Solo”, “Fortunata”, “Napoli Velata” e “la Dea Fortuna”).
La flemmaticamente vertiginosa mise en abyme hitchcock-depalmiana (e più in là inquadrature argentiane e movimenti di macchina shyamalanici) in plongée sul neobarocco-modernista libertyno della tromba di scale elico-ellissoidale (ochhio-alla-vagina) di Palazzo Mannajuolo in Chiaia dell’Arata; l’apotropaica magia imitativa del velo simbolico/retorico tirato a sipario sulla figliata dei femminielli a Palazzo Pandola di Piazza del Gesù; l’utero velato in sezione della Farmacia degli Incurabili scaffalata in noce dal Fucito; la maschera à la Eyes Wide Shut trafugata e/o di passaggio al Museo Archeologico che le due antiquarie di contrabbando (e tre, con Liliana, Loredana Cannata, una collega di Adriana, poi promossa: un altro collega febbricitante a fagiuolo, un referto autoptico offerto spudoratamente in lettura, etc…; e quattro: la custode di Santa Maria della Pietà, Angela Pagano, che le porge l’occhio datole da Adele…; e cinque, con Donna Assunta, la Sibilla Cumana, Maria Luisa Santella; e…) si scambiano a bacio sino a ridurla copia-conforme e “restituirla” al suo posto assegnato, così come Adriana (Giovanna Mezzogiorno, molto brava: alcune pecche non le sono imputabili) “ricrea” Andrea (Alessandro) in (Borghi) Luca; il Cristo Velato del SanMartino adagiato sul suo materasso di marmo al museo della Cappella SanSevero…
[Mancano all’appello iconografico catturato dalla fluida MdP manovrata da Corticelli la “Pudicizia” di Antonio Corradini e il “Disinganno” di Francesco Queirolo, statue marmoree (ancora un velo, e una rete) posizionate una in fronte all'altra fra l’Altare Maggiore e il Cristo Velato ed invece corollario significante (aggettivo) a questo penultimo lavoro ozpetekiano.]
E ancora, sulla scalinata del cortile interno che conduce alla Farmacia del Complesso degli Incurabili nel centro storico, al grandissimo Beppe Barra è consegnato il compito di declamare l’antidoto all’assunzione del film: “Adria’, t’a pozzo dicere ‘na cosa? ‘N t’a piglià a collera però. Questa mi pare proprio una telenovela. E jamm!”
Ad esempio: l’assurdità del dover partecipare a una tombolata per poter conoscere il significato dei numeri della smorfia (non perché ogni cacchio di napoletano debba conoscerli, ma perché hanno inventato il web dell’internet), e, una volta svelati, scoprirli essere nient’altro di meno e null’altro di più che Napoli (‘O Cafè, ‘O Sanghe e Pullecenella) e… sé stessa [‘E Fasule, il significante (sostantivo)], un educando gioco di scolastica bambina.
Scomparsa. Ritrovata. Dispersa. Ricreata.
Un bagaglio di topoi delle soap-opera che si rovescia s’un corpo (quello di Giovanna Mezzogiorno - soprattutto il volto, indagato mentre indaga - e quello di una parte di Napoli) mistery di carne e luce, pelle e ombre, umori e angoli, spigoli e proiezioni di assonometria umana che da sempre innerva il cinema di Ferzan Ozpetek, che anche qui ovviamente come al solito scrive la sceneggiatura, in quest’occasione per la prima volta affiancando al fido Gianni Romoli (che co-produce con la sodale Tilde Corsi) la morettiana-bellocchiana-goliniana Valia Santella. Mentre l’omogeneamente eterogenea fotografia è di Gian Filippo Corticelli, il buon montaggio dell’esordiente Leonardo Alberto Moschetta e le ottime musiche (originali) di Pasquale Catalano e (non originali) di Enzo Gragnaniello (Pietra Montecorvino e Arisa), Lino Cannavacciuolo, etc…
La natura da subito chiara, limpida, visibile e, per l’appunto, svelata di Luca, detto anche Jane Eyre, gioca con quelle da una parte ancora più lampanti (la Catena di una bravissima Luisa Ranieri) e dall’altra ambigue e differentemente “risolte”: quelle del vice-commissario (il bravo Biagio Forestieri: mio sospettato n.1, per dire…), di Adele (una sempre ottima Anna Bonaiuto, ed è impossibile non riandare con la memoria a "l'Amore Molesto" di Mario Martone da Elena Ferrante) e di Ludovica e Valeria (perfette, in sottrazione forzata, Isabella Ferrari e Lina Sastri).
"Quando non c’è la prova, rimane sempre una leggenda."
Anche nel momento in cui la realtà, forse, resta una storia più vera, concreta e reale. Pardon: migliore.
Probabilmente, ad oggi, assieme al successivo e diverso "la Dea Fortuna", il più bel film di Ozpetek degli ultimi vent'anni.
(**¾) * * * (***¼)
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