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Napoli velata

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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maurri 63

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La recensione su Napoli velata

di maurri 63
7 stelle

Alla fin fine, le cose non sono mai quelle che sembrano. Se Ferzan Ozpetek avesse fatto altri noir, non potremmo, oggi, che sentirci più soddisfatti....

E' il velo, il segno del comando. Il velo, svela.

L'esser contenti, diceva Socrate, è una ricchezza naturale. Ma Adriana, medico legale nella città partenopea, non è certo contenta: è un "due di picche", come la definisce ilarmente l'amica Catena. Perciò, andare a letto con un giovane, conosciuto poche ore prima, dopo un travagliato spettacolo casareccio - e di travaglio il film stesso si nutrirà poi -, le appare come una scelta memorabile. Ma anche un singolo episodio può turbare la vita di una donna, portando un essere razionale ad essere inconsapevolmente vittima di un'ossessione. 

Giovanna Mezzogiorno, Luisa Ranieri

Napoli velata (2017): Giovanna Mezzogiorno, Luisa Ranieri

Sulla scia del precedente "Magnifica presenza", il regista di origini turche trasferisce nella capitale meridionale tutte le sue ansie cinematografiche, per dare vita ad una favola nera, in cui si mira a puntellare la storia nel corso del suo procedere, piuttosto che a svelarne l'arcano sotteso, abbondando nel finale con spiegoni spesso eccessivi e non sempre necessari. Ozpetek, così, costruisce un ritratto intimo e quanto mai sofferto - appunto perché covato a lungo: dieci anni dall'idea iniziale, fornita all'autore dal suo feticcio, l'attrice Serra Yilmaz - della città simbolo per eccellenza del malaffare denunciato da Saviano ed oggi desiderosa di togliere la maschera della putrefazione gomorrista; per farlo, cala in un abisso vorticoso - citato sin dall'inizio, con la scala ellittica che rimanda a Brian De Palma, sita in palazzo Mannajuolo, nel quartiere Chjaia - la protagonista; costringendo l'attrice a percorrere geometricamente le atmosfere di una Napoli esoterica, memore di sceneggiati storici quali "Il segno del comando" , intrise di apoteosi felliniane, soprattutto evidenti, queste ultime, nelle scene in cui recitano "sibille" e "femminielli", percorre il mito misterico, strada raramente tracciata da coetanei, che sembra rinviare ad un cinema orfano di nonno Hitch.

Kim Novak

La donna che visse due volte (1958): Kim Novak

Tuttavia, pur discostandosi da molto cinema odierno, l'operazione riesce a metà: innanzitutto, perché il regista è più  suo agio negli ambienti intimi (anche se le scene di sesso iniziali sono mal girate), mentre lo è molto meno quando detta regole "en-plein-air"; secondo, perché, nonostante improbi fantasmi e figure di secondo piano, gli interessa più la materia concreta, viscerale, sanguigna, che è alla base dei rapporti umani. Abituale frequentatore di soggetti in cui la casa è essa stessa parte attiva dell'opera, snocciola via via tutti i temi che gli sono più cari, quali la perdita di persone giovani - che rimanda al pluricelebrato e sopravvalutato "Le fate ignoranti" -, l'assenza di figure paterne, la necessità per l'arte di essere talora elemento deviante - il giovane Andrea (un pessimo Alessandro Borghi, che interpreta anche Luca, il suo fratello gemello) traffica in reperti archeologici - , il tema del complotto (che all'origine era più che sotteso: vedasi "La finestra di fronte"), per finire all'abusato svelamento dell'identità, cui, peraltro, rimanda la scena conclusiva girata nella cappella del Cristo Velato, in assonanza con il titolo stesso.

Noomi Rapace, Rachel McAdams

Passion (2012): Noomi Rapace, Rachel McAdams

La sceneggiatura, purtroppo, fa acqua da tutte le parti ed affoga in un mare di colpi di scena telefonati: scritta da Gianni Romoli più ricalcando gialli quali quelli alla Dario Argento - ma non disdegnando una strizzata d'occhi a "La migliore offerta " di Tornatore -che guardando alla narrativa odierna d'oltreoceano, insieme a Valia Santella - le cui origini napoletane, però, sono poco vitalizzate dal suo percorso faticoso con Nanni Moretti, e che rafforza certi stereotipi lasciando che sia la madre, Maria Luisa, ad interpretare l'irriconoscibile Sibilla - , viene poi amalgamata dallo stesso Ozpetek. E' grazie alle invenzioni della regia, allora, che la pellicola s'innalza: il lato pratico, con il riappropriarsi della vita di Adriana (una spenta Giovanna Mezzogiorno, interprete anche della madre stessa, Isabella, cui la sua memoria di bambina torna, dopo il concitato inzio sul pre-finale) s'impadronisce del senso onirico, grazie anche ad un casting che non usa facce stantìe del panorama napoletane ed ai meriti di Peppe Barra, il teatrante che interpreta Pasquale, a suo modo mentore di Adriana;  l'uso della luce con la scelta di location non usuali (fotografia di Giuseppe Corticelli e scenografia di Deniz Gokturk Kobanbay ed Ivana Gargiulo); l'appassionata invettiva contro la città malata ad opera di una superba Anna Bonaiuto (che è nei panni del personaggio della zia Adele, che troppo amò il cognato); uno sforzo produttivo che non diventa sfarzo.

scena

Napoli velata (2017): scena

Passo avanti nella carriera del regista, "Napoli velata" - grande reclame turistica, in ogni caso - rivela l'altra metà di Socrate: "il lusso è una povertà artificiale", senza scadere nel qualunquismo, offrendo peraltro una chiave di lettura alternativa se si prova a leggere la storia capovolgendola, partendo dalla celeberrima statua del Sanmartino per arrivare alla scala del già citato palazzo Mannajuolo, grazie ad una galleria attoriale talora sublime. Isabella Ferrari e Lina Sastri dipingono una coppia alla base della trama nera ordita ai danni di Adriana con poche, efficaci battute, mentre resta esornativa l'inutile Luisa Ranieri nei panni di Catena, addirittura eccessiva Loredana Cannata, riesumata nei panni della collega Liliana. I personaggi sono comunque tutti scelti con cura ed ambizione, come nei casi di Angela Pagano, fugace frammento finale, o Carmine Recano e Maria Pia Calzone .

Maria Pia Calzone

Napoli velata (2017): Maria Pia Calzone

Pur se le musiche di Catalano non sono all'altezza del materiale filmato, e la canzone finale - "Vasame", baciami, di Enzo Gragnaniello - è vezzosamente affidata ad Arisa (come accadde in tempi più lontani con Giorgia e le sue "Gocce di Memoria"), resta un prodotto decisamente sopra la media per l'asfittico panorama italiano e con un ampio respiro visivo: anche per tutto questo, quindi, un lavoro da vedere e rivedere per somatizzarne meglio odori e umori della città che non fu mai capitale della Repubblica. 

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