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Outrage Coda

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Outrage Coda

di alan smithee
6 stelle

VENEZIA 74 - FUORI CONCORSO - FILM DI CHIUSURA

"Tra i due litiganti il terzo gode": con Otomo - piccolo scagnozzo quasi ignorato dai due clan più potenti e rivali, ma quello che alla fine riesce, subdolamente e grazie alla propria astuzie, a ricavrne i benefici più alti (non foss'altro a rimenere in vita, risparmiato dalle esecuzioni sanguinose di cui rimangono vittime tutti, prima o poi, anche i più potenti!) - è proprio così.

Abbiamo imparato a conoscerlo nei primi due efferati e complicati episodi della serie, finiamo ora quasi per rimpiangerlo in questo ulteriormente più macchinoso e unidimensionale atto finale: che nonostante tutto, ci impedisce di non farci ammaliare ancora una volta da un attore e regista che, pur non essendo bello, né fisicamente molto in forma (Kitano dimostra tutti gli anni che ha, forse anche qualcosa in più), con una voce gracchiante ed inascoltabile, una fissità facciale ed espressiva acuita da un grave incidente di ormai vecchia data, riesce a farsi amare ed apprezzare da una larga fascia di pubblico.

Già leggendo tra i primi titoli il nome "Kitano office" si prova un senso di sicurezza e di familiarità che - è successo in sala alla proiezione della stampa - strappa un applauso preventivo e sulla fiducia che non può essere che un atto di stima incondizionato.

Nella lotta tra due clan rivali, Otomo, confinato in Corea del Sud, ha modo di tornare e di reinserirsi - a suo modo, con la sua tattica da lupo solitario furbo ed imprevedibile, nella corsa alla supremazia di una fazione sull'altra.

Cadono le teste, via via dal basso verso l'altro, grazie ad attentati e attacchi a sopresa in cui pistole e mitra a fuoco spianato crivellano e massacrano corpi.

Il film non si cura di ammaliare il pubblico con strizzate d'occhio o colpi di scena, ma preferisce proseguire per la sua strada, ripetitiva e complicata, spietata e tutt'altro che attraente (non aspettatevi i ritmi e l'appeal travolgente di John Woo e del suo incontenibile ManHunt, quindi!) fino ad una soluzione finale che è anche un addio del Kitano attore ed autore al suo personaggio.

Una fine violenta ma autodeliberata, in linea col quasi capolavoro che fu Sonatine.

Forse è meglio, per Kitano, per il suo prezioso percorso artistico, e pure per noi del pubblico, che l'autore abbia deciso di interrompere una serialità che ormai, salvo qualche diversivo da attore ed una regia che spazia oltre, lo aveva occupato, o distolto per alcuni, sin troppo tempo.

Apprezziamo pertanto ed accogliamo anche con un filo di malinconia questo spietata e coerente "coda" , intesa come fine serie, conclusione, senza tuttavia rimpiangerla, ma anzi guardando avanti, sperando ardentemente in un ritorno dell'ormai anziano autore, a tematiche più introspettive e poetiche, quelle dei suoi più autentici ed illuminati capolavori, risalenti ormai agli anni '90 ed ad inizio '2000 (non posso a questo proposito non citare Il silenzio sul mare, L'estate di Kikujiro e Dolls).

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