Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Fine della trilogia, il cerchio si chiude al numero tre.
Fine, sulla yakuza ha detto tutto, Otomo deve morire e chiudere la trilogia con un suicidio spettacolare.
“Non c’è bisogno, faccio da me” dice al gangster che sta per sparargli e pum, si punta la pistola alla testa e un bello schizzo di vernice rossa forma l’ultimo hana bi, il fiore di fuoco che si allarga sullo schermo.
Outrage coda è arrivato in chiusura a Venezia, naturalmente fuori concorso ma atteso spasmodicamente da tutti i suoi amici che lo aspettavano al varco e hanno cominciato ad applaudire fin dai titoli di testa.
Office Kitano, la sua sigla, e poi lui in conferenza stampa con il produttore Masayuki Mori, caschetto di capelli alla Mastro Geppetto, tic sulla guancia destra, sorriso sghembo e un’aria seria seria, quasi timida, tranne quando fa una bella risata alla domanda se, vista la pratica, ha amici nella yakuza.
Kitano ha un debito di gratitudine con Venezia, arigato, ringrazia, alla Mostra veneziana deve la sua fama, prima non era nessuno, i suoi film non avevano seguito in patria, e poi l’incidente di moto quasi mortale l’aveva messo k.o.
“Ero depresso, ma poi mi sono rialzato in un lampo, senza Venezia non sarei riuscito.”
Ora però è stanco di girare intorno all’argomento che l’ha tenuto fermo dal 2010, ll primo Outrage
Allora fu un pugno nello stomaco, la messa in scena del deserto del reale, un mondo fatto solo di violenza, un’immersione in apnea nel mondo della yakuza.
Molti storsero il naso, parlarono di “collage di scene senza fantasia, meccanicità ripetitiva e mancanza di approfondimento psicologico, assenza di anima e vuoto che sconfina nella piattezza” e non c'era la musica di Hisaishi a farlo perdonare.
Ma Kitano è uno che non si arrende, e con Outrage beyond, due anni dopo, raddoppiò la dose, scendendo fino al fondo di Malebolge per parlare della notte che pesa sull’umanità se perfino gli yakuza hanno abbandonato ogni codice d’onore e la barbarie è inarrestabile.
Violenza seriale, scontri di bande, lotte di potere, yakuza in doppiopetto a raccolta in lussuose sale di riunione con il boss in trono, e un attimo dopo raffiche di mitraglietta che falciano tutti come birilli.
Nomi impronunciabili di famiglie mafiose, la fantasia al potere per farsi fuori a vicenda nei modi più spettacolari e rumorosi, e il feroce Otomo che dove arriva non perdona.
E adesso Coda, sempre nelle strade e negli asettici grattacieli di Tokyo svuotati di chiunque non sia yakuza, guardie del corpo schierate all’ingresso con inchini all’arrivo di supermacchine con i mammasantissima dentro, dialoghi fitti, urlati, li capiscono solo loro, e il bravo Keiichi Suzuki che ha avuto il suo da fare in tutta la trilogia per dare al soundtrack la cadenza giusta, Kitano è irremovibile su questo: “Non volevo che la gente ricordasse le immagini attraverso la musica, sono stato scortese su questo con Suzuki”.
Otomo però sembra stanco, a tutto c’è un limite e anche gli yakuza invecchiano. Senza entusiasmo continua a sparare, non ha niente da perdere perché anche l’onore è perduto e dunque basta con la vita, anche su questo decide lui.
Come in Sonatine, ma non di fronte al mare.
Il cerchio si chiude, chissà che più avanti non sforni un bel film d’ “ammore” e magari anche “malavita”, da Kitano possiamo aspettarci di tutto!
Arigato KITANO san!
www.paoladigiuseppe.it
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