Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Takeshi Kitano è stato probabilmente uno dei più importanti registi a livello mondiale negli anni 90. Personalmente, ho fatto una certa fatica ad apprezzare i suoi film alla prima visione per quello che realmente valevano; “Sonatine” all’inizio mi spiazzò e lasciò perplesso, come anche “Hana-bi”, eppure adesso le riconosco entrambe come opere affascinanti, originali, girate con uno stile personalissimo, dunque capolavori del cinema contemporaneo. “Sonatine” è un film di yakuza che potrebbe guardare a molti illustri antecedenti, da Melville a Fukasaku, da Godard a Ozu, ma il risultato finale è Kitano al cento per cento, un distillato della sua poetica girato quando il regista era ancora poco noto in Occidente, e che fu distribuito con ritardo all’estero perché in patria era stato un fiasco commerciale. Non arriverei a dire che la trama non conta per niente, come qualcuno ha fatto, ma sicuramente non è la preoccupazione principale di Kitano, che si interessa maggiormente all’elaborazione di un’atmosfera sempre più cupa e segnata dalla fatalità, dove l’uomo è una marionetta in balia di forze che non controlla, tema che tornerà amplificato in “Dolls”. Il film è girato con grande libertà espressiva, con un ritmo sapientemente lento che si impenna in brusche accelerate, con un utilizzo magistrale delle ambientazioni ad Okinawa, soprattutto la spiaggia e il mare di abbagliante bellezza. La violenza non è mai gratuita, a differenza di quanto si può percepire con sguardo distratto, la regia ha delle invenzioni sorprendenti, un ricorso all’ellissi nella sparatoria risolutiva che si potrebbe definire perfino geniale, la colonna sonora di Joe Hisaishi è ipnotica ed emozionante nella sua semplicità. Kitano sembra non recitare con la sua maschera impassibile, ma il personaggio di Murakawa è caratterizzato con pochi tratti, in maniera spiccia ed efficace, non priva di qualche voluta ambiguità. Come tenuta stilistica “Sonatine” è forse uno dei migliori film dell’ultimo scorcio del secolo, è già un compendio del suo modo di fare cinema pur essendo solamente il suo quarto film, è un’opera che reinventa il noir giapponese con la stessa bravura che fu di Polanski nel reiventare quello americano con “Chinatown”. Una visione essenziale, dunque, il primo capolavoro di un artista che sarà grande ancora per un decennio, ma che poi entrerà in una sorta di crisi creativa da cui forse non si è ancora ripreso... un film di immagini memorabili, che si imprimono nella memoria grazie ad una messa in scena eminentemente cinematografica (e mi è venuta una gran voglia di andarmi a rivedere “Il silenzio sul mare”, visto tanti anni fa e che sinceramente non ricordo più).
Voto 10/10
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