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Sonatine

Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film

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AndreaVenuti

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La recensione su Sonatine

di AndreaVenuti
9 stelle

Sonatine è un film giapponese del 1993; scritto, diretto, interpretato e montato da Takeshi Kitano con musiche di Joe Hisashi                        

(seconda collaborazione tra i due, dopo il poetico Il Silenzio sul mare del 1991).

 

Sinossi: Murakawa (Kitano), potente e rispettabile yakuza di Tokyo, ormai è stufo della vita  criminale e vorrebbe ritirarsi ma il suo capo clan lo spedisce per un'ultima missione ad Okinawa; l'obiettivo è far cessare le ostilità tra due bande locali.

Murakawa non è stupido e la missione non lo convince pienamente, infatti una volta giunto sul luogo con i suoi uomini, subiranno un agguato...

Quando si parla di Sonatine tra "esperti" ed appassionati si è soliti concordare nell'inserirlo tra i capolavori del genere noir/neo-noir. Sicuramente fermarsi a questa affermazione risulta molto riduttiva ma almeno spinge i più giovani a recuperare una perla assoluta e rivoluzionaria; qui proverò, in maniera sintetica, ad evidenizare l'importanza di questo film, tra i massimi capoalvori di un regista eclettico che non si è mai focalizzato su un genere: prima di Sonatine ha realizzato Il Silenzio Sul Mare mentre dopo questo film troviamo l'autoironico Getting Any?.

 

Kitano con Sonatine destruttura dalle fondamenta la yakuza-eiga, realizando un film che potremmo definire esistenzialista, lontanissimo da ogni schema, e segue solo la volontà del suo autore come confermato sia dall'avanzamento narrativo sia dalla messa in scena.

Il film inizia come uno speldido Yakuza Eiga in cui si notano subito delle novità; Kitano ci mostra la quotidianità lavorativa di uno yakuza diviso tra riunioni, lunghe attese e spedizioni punitive, il tutto contraddistinto da un ritmo volutamente lento, velocizzato improvvisamente da inaspettate esplosioni di violenza (pensiamo al pestaggio di Murakawa ai danni di un suo collega).

Ma la vera rivoluzione si materializza quando gli uomini di Murakawa giungono ad Okinawa. 

Kitano ci trasporta per gran parte del tempo in una spiaggia della città, dove si sono rifugiati gli uomini di Murakawa; la spiaggia è simbolo dello scorrere lento del tempo, i personaggi soli nella loro angoscia sono in attesa del loro triste destino ma per esorcizzare e allentare la tensione inventano dei strani giochi (dalla, falsa, roulette russa fino ad una gara di sumo oppure una sorta di rappresentazione comica che richiama il teatro kabuki), scelta rivoluzionaria poichè Kitano ci mostra dei personaggi fuori dal loro ruolo di malviventi inoltre emerge chiaramente lo stile e la poetica dell'autore contraddistinta da una dialettica di elementi antitetici fra loro:

 

- Gioco-morte

 

- Dramma-commedia

 

-Azione-stasi

 

- Crudeltà e dolcezza; due poli molto amati dal regista, non a caso ambienta il tutto su una spiaggia sul mare (elemento chiave per Kitano), il mare un po' come i suoi personaggi, riesce ad essere sia dolce e spietato sia infinitamente bello e crudele.

In Sonatine Kitano (come altri registi del periodo, pensiamo a Miike) va a smitizzare alcuni topoi classici del genere come la fedeltà ed il rispetto dello Yakuza, certo Murakawa ha dei principi ma ormai sembra essere fuori luogo (questo aspetto verrà presentato molto bene nel primo Outrage) infatti verrà tradito per avidità e potere.

 

Un altro aspetto molto interessante è la storia d'amore tra Murakawa e Miyuki, messa in scena con una forma nuova di romanticismo, ad esempio i due non si sfioreranno mai.

A livello tecnico-stilistico, Sonatine è la summa perfetta dello poetica Kitaniana: la macchina da presa fissa regna sovrana alternata da brevi carrellate; i primi piani sui personaggi invece sono intervallati da tanti campi lunghi, alcuni dei quali estremamente simbolici (pensiamo all'inquadratura finale del film).

Inoltre emerge -a tratti- una messa in scena stilizzata fino all'astrattismo.

Lunghi silenzi e digressioni, come già evidenziato, sono la prassi ma verranno interrotti da esplosioni di violenza (molto realistica e per nulla spettacolare) in alcuni casi posizionata fuori campo come dimostra il massacro finale.

 

Ho definito il film esistenzialista per una ragione ben precisa. Murakawa sa benissimo che per lui è finita ma non si darà per vinto, innazittuto si vendicherà e poi sarà lui a chiudere definitivamente la partita con un gesto estremo, già sognato in passato poichè forse la felicità riuscirà a trovarla solo con la morte.

 Pietra miliare

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