Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Potrebbe sembrare un gioco perverso sulle conseguenze della violenza. Sonatine, per quanto – a mio parere – sopravvalutato qua e là per certi refusi filosofeggianti, è comunque un apologo più che interessante. Riflettendo sulla importanza dell’attimo e sulla dilatazione del tempo, Kitano elabora un percorso crepuscolare che pone al centro della scena un uomo il cui destino appare, nonostante tutto, segnato sin dall’inizio. Che debba morire lo si capisce sin dal principio, e quell’uomo disperato che affonda nelle acque torbide ne è un segnale evocativo e premonitore: si respira l’aria dell’angoscia latente che si addensa sopra i capi di chi aspetta che la morte bussi alla propria porta. Spesso si aggira beffarda: no, la pistola non è carica, possiamo ancora schivarla. La pace della spiaggia deserta, l’orizzonte del mare azzurrognolo, il cielo sgombro dopo la tempesta, il verde delle campagne dimenticate: sono le dimostrazioni più palese della ricerca di una certa dimensione serafica in cui riporre il proprio ego.
Kitano taglia lo schermo affondando nelle psicologie dei suoi personaggi, graffia i volti di chi tenta di scappare al proprio destino, colpisce insolente chi non si sottomette al suo gioco. Ma compie ogni gesto con un distacco quasi clinico, mantenendo la giusta distanza tra narrazione e meditazione: è forse questo ciò che manca a Sonatine, ossia un determinato coinvolgimento emotivo da parte dell’autore, e dunque, di riverbero, una sorta di immedesimazione fallita dello spettatore? Non so. Certo è che almeno negli estremi della pellicola (il già citato affondamento e il definitivo destino che si infligge Murakava) Kitano riesce a donare le giuste emozioni. Nella parte centrale si destreggia con sicurezza ed autunnale passione, ma anche con piglio puramente illustrativo. Sono difetti che si notano, ma che non sconvolgono eccessivamente l’economia dell’opera. Elementi a favore? Svariati. Ne cito uno: il personaggio di Murakava, che ha una dimensione epica accostabile a Carlito Brigante. Non a caso, Kitano se l’è pensato, scritto ed affidato.
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