Regia di Takeshi Kitano vedi scheda film
Murakawa (Takeshi Kitano) è un influente esponente della Yakuza. Il suo capo Katajima (Tombo Zushi) gli ordina di andara a dirimere una faida tra bande rivali sull'isola di Okinawa. Nonostante sia poco convinto dell'utilità dell'iniziativa e che abbia intuito i pericoli insiti nell'operazione, Murakawa obbedisce e parte insieme ai suoi uomini più fidati. Appena arrivati sull'isola, diventano il bersaglio principale delle bande rivali e dopo aver perso alcuni uomini Murakawa trova riparo insieme agli altri superstiti in una casa abbandonata su una spiaggia deserta. Qui passano il tempo facendo giochi infantili, scherzando tra di loro, prima che le consuete incombenze di mafiosi non li distolgono nuovamente dall'innocente godimento della natura di cui si erano fatti serenamente assorbire.
"Con "Sonatine" ho avuto finalmente la sensazione di aver conquistato il primo scalino del cammino come regista" dice Kitano, che di questo suo quarto lungometraggio è sceneggiatore, regista, montatore e protagonista. Infatti, la "sonatina" implica una conoscenza di base di varie partiture musicali e quindi segna la fine di una prima tappa nel percorso di apprendimento della musica per pianoforte. Per quanto mi riguarda, credo che già "A scene at the sea" (Il silenzio sul mare) sia stato un capolavoro e che con "Sonatine" Kitano riesca a farne un altro usando tutti gli ingredienti tipici della sua poetica, mescolati secondo uno stile unico e inconfondibile, originale e riconoscibile."Sonatine" è una tragedia classica inscenata dai membri della Yakuza, un'organizzazione criminale domanita dall'avidità del potere e dal potere dei suoi capi di decidere della sorte dei suoi uomini. Un universo in cui la vita di ognuno vale almeno il tempo di essere scelto come vittima sacrificale di giochi assassini ed ha un senso solo se si è padroni del tempo dell'attesa e si ha a disposizione uno spazio tanto grande da rasentare l'assoluto. Takeshi Kitano è un maestro a tratteggiare i tipi della Yakuza ma non manca mai di scarnificarne l'essenza maligna, di esorcizzare il suo inevitabile corollario di morte attraverso la ritualità di giochi in cui è sempre il caso a decidere chi perde e chi vince. La vita e la morte, l'amicizia e il tradimento, la lentezza e l'azione, la calma e la ferocia si intrecciano secondo uno schema narrativo tipicamente kitaniano, sospeso tra il tragico e il grottesco, tra la fredda rappresentazione di un male assoluto e la matrice caricaturale affibiata ai suoi agenti promotori. Poi c'è il mare che per Kitano delinea il limite della follia umana, placa gli animi corrotti dalla furia omicida e conferisce poesia ad immagini sottratte da ogni vincolo spazio temporale. Un capolavoro di beffarda crudeltà.
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