Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film
La trasformazione della sua azienda da pubblica a privata e il successivo taglio di personale (siamo di fronte ai primi passi delle drastiche cure della politica Thatcheriana) causano il licenziamento in tronco di Henri dopo 15 anni di onorato servizio; l'unico riconoscimento che gli viene concesso è un orologio d'oro (rotto), ma Henri sente di non avere più voglia di vivere. Provato il suicidio con l'impiccagione (ma il trespolo cui si era appeso crolla) e con il gas (ma proprio il giorno dello sciopero della ditta del gas), l'unico rimedio che gli viene in mente è quello di assoldare un killer.
Quello stesso giorno conosce Margareth e se innamora. E ora come fermare il killer?...
Uscito dai confini patri dopo la "trilogia operaia", Kaurismaki ci delizia stavolta con una commedia col sapore dello humour inglese di una volta :"Mi sembra che i registi britannici non riescano più a fare delle commedie inglesi vecchio stile. Così devo andarci io a farne una..."
Affidato il ruolo da protagonista a Jean-Pierre Léaud, che ci ricordiamo come volto simbolo della Nouvelle Vague, ingaggiati attori comprimari di sincera professionalità, da Serge Reggiani a Margi Clarke, fa cantare due minuti di un pezzo fantastico quanto introvabile in commercio a Joe Strummer, componente dei Clash, in un bar scalcagnato, su una pedana all'ingresso, accompagnato da un suonatore di bonghi, ed infine fa egli stesso un cameo come venditore di occhiali per pochi secondi.
Sullo sfondo l'ambiente sociale che gli piace raccontare: i sobborghi di periferia dove vivono i diseredati, macerie e immondizie comprese. Ma anche Henri, che pensiamo se la possa passar bene economicamente, vive in una casa in affitto, più spoglia che altro, senza un minimo elettrodomestico (tanto meno il TV), ma in compagnia dell'immancabile radio a transistor da cui ascolta musica jazz.
Tutti i principali personaggi sono gente ai margini: Margareth è una venditrice ambulante di fiori, persino il killer è un piccolo-borghese, peraltro ammalato di cancro.
Il risultato finale è un'opera stralunata e surreale, con dialoghi ridotti all’osso e movimenti di macchina essenziali. Un film che conferma il marchio di fabbrica "Kaurismaki", autore dei tempi dilatati, delle apparenti omissioni e dei silenzi, il cui minimalismo a tratti esistenzialista riporta lo spettatore a una sorta di Europa post-bellica, stile anni '50: forse l'ultima età dell'innocenza.
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