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Ho affittato un killer

Regia di Aki Kaurismäki vedi scheda film

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La recensione su Ho affittato un killer

di pazuzu
8 stelle

Nell'Inghilterra thatcheriana degli anni 80, il francese Henri Boulanger è impiegato presso l'azienda pubblica Waterworks, dove passa intere giornate tra documenti e scartoffie varie senza comunicare con i colleghi neanche durante la pausa pranzo, preferendo sedere in disparte mentre nella tavolata comune questi banchettano raccontandosi barzellette a sfondo razzista; finito il turno lo aspetta un viaggio in tram, poi il silenzio dell'appartamento che ha preso in affitto, l'acqua da dare alle piante che tiene in uno strano soppalco improvvisato sul tetto, e i muffins che mangia per cena con la sola compagnia di una radio e senza neanche la possibilità di guardar fuori dalla finestra della cucina, impallata com'è dal muro del palazzo adiacente.
La delicata stabilità della sua vita in levare, monotona e solitaria, viene però stravolta quando il capo dipartimento lo convoca a colloquio per comunicargli che, in virtù dell'imminente privatizzazione voluta dal governo, la società è costretta a tagliare il personale, e lui, in quanto immigrato, sarà tra i primi a pagare: licenziamento in tronco, quindi, e come buonuscita un orologio d'oro guasto.
Umiliato e annichilito, Henri torna a casa ossessionato da un unico pensiero: il suicidio. Allora prova ad impiccarsi, ma il gancio cui intende appendersi cede di schianto, quindi va in cucina e infila la testa nel forno, ma un imprevisto sciopero del gas gli rende impossibile l'impresa. Scoraggiato dai due tentativi falliti ma ancora teso a raggiungere lo scopo, decide di affidarsi a dei professionisti: così si fa condurre in un night club frequentato da criminali di ogni risma ed ivi incarica un uomo del mestiere del proprio assassinio. Di lì a poco, mentre nel pub sotto casa si regala la prima sbronza e il primo pacchetto di sigarette della sua vita, fa la conoscenza di Margaret, che sbarca il lunario vendendo rose nei locali, e se ne innamora: il proposito di morire viene subito meno, ma il sicario è ormai già sulle sue tracce, e metterlo in tempo utile al corrente dell'avvenuto ripensamento diventa un problema di difficile soluzione.

Sono i sobborghi di Londra quelli in cui si svolge l'azione in questo film di Aki Kaurismäki datato 1990, ma sembra la sua Finlandia operaia, con i suoi interni sciatti e i suoi esterni poveri (ottimo il lavoro del location manager Andy Pavord e dello scenografo John Ebden), con i suoi colori intensi (notevole la fotografia di Timo Salminen), e con i suoi personaggi sconfitti: Henri è un uomo allo sbando, talmente inutile a sé stesso da non riuscire nemmeno ad ammazzarsi, che per 15 anni ha lavorato in un ambiente a lui indifferente quando non velatamente ostile accettando di buon grado il distacco dei colleghi, che da chissà quanto non sente il bisogno di istaurare il benché minimo rapporto con qualunque altro essere umano, che non è abituato a conversare, non ha mai acquistato un fiore, né fumato o bevuto alcolici; Henri ha smesso di vivere da tempo (o forse non l'ha mai fatto), e se in principio la morte gli appare come la conseguenza più logica e indolore al venir meno dello stipendio che fino ad allora gli ha permesso di tirare a campare, è proprio cedendo a qualche vizio, ad un passo dalla propria fine, che trova il coraggio per approcciare un dialogo con una donna e tornare (o iniziare) a lottare davvero per la vita. Margaret, la donna in questione, è altrettanto sola e chiusa verso il mondo esterno, e il suo appartamento disadorno ha come uniche note di colore le rose che, rimaste invendute e ormai sfiorite, lei regala a sé stessa quando rincasa a notte fonda; individuato nel fragile Henri l'uomo speciale che in fondo stava cercando, si impegna a proteggerlo e difenderlo dall'assedio del killer: Harry (questo è il suo nome) uccide per contratto ma è un padre di famiglia responsabile, porta la morte per professione ma dalla morte stessa è inseguito sotto la forma infame di un tumore ai polmoni, ed intende sfruttare appieno i pochi giorni che gli restano per condurre onorevolmente a termine l'ultima commissione e girare i soldi alla figlia e all'ex moglie.
Buoni o cattivi, i personaggi di Kaurismäki sono prima di tutto dei perdenti, che tra semplicità cinismo e disincanto si aggrappano alla vita con quello che possono, barcamenandosi in un contesto politico e sociale ostile che certo non invoglia alla fratellanza.
Scrivendo dirigendo montando e producendo I Hired a Contract Killer basandosi su un'idea dell'amico e sodale Peter von Bagh, Kaurismäki non si accontenta del curioso assunto di partenza ma va avanti fino in fondo, proponendo una storia bizzarra popolata da soggetti strampalati, che procede a ritmo controllato in un susseguirsi pacato di scene grottesche, venate di surrealismo e sense of humor beffardamente cupo, e contraddistinte dal consueto sguardo volutamente glaciale e distaccato.
Ad impreziosire il tutto, accanto alla prova maiuscola di un imperturbabile Jean-Pierre Léaud nel ruolo del protagonista ed al cameo dello stesso regista, che si ritaglia la particina di un inquietante venditore di occhiali, c'è quello di uno scintillante Joe Strummer, che, accompagnato da un percussionista e dall'inseparabile Fender Telecaster, intona la sua bellissima Burning Lights dalla pedana di uno scalcinato bar di periferia, tra una foto di Elvis Presley appesa alla finestra posta alle sue spalle, una stella a cinque punte disegnata sulla lavagna alla sua destra, ed il disinteresse generale dei pochi avventori; ancora in voce e chitarra, ma stavolta senza supporto di immagini, il punk rocker di Ankara torna sui titoli di coda con Afro-Cuban Be-Bop, traccia suonata con i Pogues (per l'occasione ribattezzatisi The Astro-Physicians) che con la stessa Burning Lights andò poi a costituire un mini-soundtrack in 7 pollici venduto in sole 200 copie ed oggi pezzo pregiato per collezionisti.

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