Regia di James Wan vedi scheda film
A seguito del totale fallimento, sia in termini di qualità che d’incasso, di Justice League, la DC ritenta ancora, per l’ennesima volta. Di risollevarsi, certo, ma anche, si suppone, di creare qualcosa di "nuovo", diverso, staccandosi dall’esempio offerto dai film diretti da Snyder, cupi e tremendamente seriosi pur non avendo la statura di un Cavaliere oscuro.
Peccato che, com’era avvenuto col precedente giocattolone fracassone degli studios, ovvero Suicide Squad, anche in questo caso ciò che viene proposto in alternativa non si possa affatto dire esaltante. Questo Aquaman, difatti, non lascia per nulla ben sperare riguardo il futuro dei film del DC Extended Universe (e ciò appare ormai un triste ritornello).
Perché si tratta di un blockbuster che (si prega di perdonare il facile e pessimo giochetto di parole) fa letteralmente acqua da tutte le parti. Non solo è eccessivamente stiracchiato per arrivare a quasi due ore e mezza di durata (giusto per fare un esempio, tutta la storia parallela riguardante Black Manta si poteva semplicemente eliminare, ma naturalmente non si sarebbe offerto il pretesto alla realizzazione del seguito), ma per di più “regala” uno “spettacolo” roboante e tonitruante, un’overdose continua di fantasmagorici e multicolori effetti digitali, per nulla supportati, alla base, da una trama e da una sceneggiatura che siano degne di questo nome.
La “storia”, infatti, è imbottita di insulsaggini, “bamboleggiamenti”, battutine idiote che non fanno quasi mai ridere, non buchi, ma voragini narrative, fatti curiosi (emblematico il caso dell’attacco da parte del sottomarino che non si capisce a chi sia dovuto, visto e considerato che sulla terraferma praticamente nessuno crede nell’esistenza di Atlantide) nonché curiosissimi e convenientissimi risvolti (“idrocannoni” formanti barriere insormontabili che però vengono facilmente evitati; miracolosi trasferimenti immediati di personaggi privi di mezzi di trasporto e di cibo e d’acqua da deserti sterminati a soleggiate e patinatissime coste siciliane; e si potrebbe andare avanti a lungo...).
Come se non bastasse, la scelta delle musiche (e del momento in cui inserirle) è quantomeno opinabile (in un paio di occasioni si finisce per sbellicarsi dalla risate nonostante, probabilmente, non fosse quella l’intenzione dei realizzatori), la fotografia cede un po’ troppo spesso all’“effetto cartolina” (ad esempio nel caso della capatina italica) e la recitazione si mantiene su un livello generalmente mediocre.
Interessante notare, poi, come, esattamente al pari del Black Panther della Marvel, anche in questo film ad una straordinario progresso tecnologico non venga fatto corrispondere un altrettanto straordinario progresso politico. E’ naturalmente un po’ esagerato parlare di “sottintesi politici” in un film di questa risma, ma qual’è il messaggio, se si vuole anche solo subliminale, che si vorrebbe far passare con un’opera che rappresenta una società, per l’appunto, tecnologicamente avanzatissima che però è retta da una monarchia assoluta nella quale, per di più, è accettabile (anzi, chiaramente prescritto) che il regnante venga scelto per tramite di un combattimento all’ultimo sangue? Di una società che accetta pedissequamente le tradizioni più bieche e bestiali non mettendole mai in discussione?
Relegando così, in particolare, le donne ad un ruolo puramente “accessorio”? (Certo, aiutano il protagonista, ma anche si sacrificano per lui; le si vorrebbe quiete, castigate, e difatti non hanno alcun problema nell’accettare l’idea di un matrimonio combinato per il “bene della nazione”. Riguardo quest’ultimo punto, appare lampante la contraddizione tra l’accettazione, anche da parte del protagonista nel finale, di queste tradizioni retrograde e reazionarie, e poi il fatto che lui stesso [che dopo due minuti si capisce essere il “vero re”] sia il frutto di una relazione spiccatamente anticonvenzionale, dunque contro ogni tradizione e dogma).
Forse è vero che, come sostiene il filosofo Slavoj Zizek, viviamo in un epoca in cui ci viene continuamente propagandato che tutti i progressi tecnologici che riusciamo ad immaginare sono realizzabili, mentre tutti i progressi sociali che ci sforziamo anche solo di immaginare non lo sono.
In ogni caso, rimane il fatto che Aquaman non è solo ideologicamente ambiguo e tirato per le lunghe, ma pure frequentemente ridicolo, non si sa quanto volontariamente (l’apoteosi viene toccata al momento della comparsa del “superaccessoriato” Black Manta, il cui costume ricorda neanche troppo vagamente una sorta di formica gigante; ma pure il fatto che si parli tranquillamente sott’acqua [blub, blub, blub...] e che le fiamme si mantengano accese anche nelle profondità degli abissi ha un che di stupefacente).
E, in definitiva, mischia insieme le più diverse influenze in un sincretismo esilarante (si passa dalla mitologia, da Poseidone e dal Kraken, ad una specie di curioso Signore degli anelli subacqueo [la battaglia finale], senza farsi mancare neppure una parentesi “alla Indiana Jones”), scivola ripetutamente nel kitsch quando non nel trash, ma forse proprio per questo può risultare persino divertente, pur nella sua assoluta (e spesso ostentata) ridicolaggine.
Clamoroso il successo di pubblico a livello internazionale, complice un’ottima performance in Cina: costato 160 milioni di dollari, il film arriva a incassarne oltre un miliardo, divenendo così il maggior incasso per un film del DC Universe al momento dell’uscita. Un successo forse spiegabile, per l’appunto, col fatto che, seppur non particolarmente migliore di altri film DC, quantomeno questo Aquaman, un po’ come Suicide Squad e Justice League, pare prendersi un po’ meno sul serio del solito (anche se, come abbiamo detto, non la si può considerare esattamente una qualità, visto il risultato finale...).
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