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Il cavaliere pallido

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Il cavaliere pallido

di scapigliato
8 stelle

Lago era l'inferno, il villaggio di LaHood è il paradiso. Ma mentre Lago diventa poi il paradiso di redenzione, l'innevato paesino di montagna diventa teatro di morte. La dimensione fantastica, o meglio onirica del film di Clint Eastwood è cercata con forza dal nostro regista e realizzata con cura dal bravo fotografo Surtees e da Cox al montaggio. Il pale rider del titolo arriva all'improvviso sfumandosi con la preghiera della quindicenne Megan. In seguito, per incanto, appare improvviso ai limiti del villaggio, per poi sparire e riapparire come raddrizzatorti pure sarcastico. Lo investe un aurea religiosa, ma pragmatica più che spirituale. Sa dispensare consigli retorici, ma ne prende le distanze con la solita secchezza del duro Clint. In mano sua ogni storia perde retorica e moralismo. Come Mick Jagger può cantare tutto quello che vuole "con quella bocca lì", Clint Eastwood, con quella faccia, può dire dire e fare tutto quello che vuole. Può addirittura prendere le distanze dal padre Sergio Leone, e scardinare la struttura western e il suo immaginario senza farsi problemi. Il risultato è una risemantizzazione della frontiera, intesa come frontiera interna all'uomo, quindi enigmatica, impenetrabile, oscura, dai tratti onirici: come il film.
Un eroe metafico, in sella ad un pallido cavallo, arriva non tanto ad insegnare la vita (Eastwood è tutto fuorchè distributore automatico di verità, morale, e retorica), quando a riprendersela. Non tutti colgono quello che secondo me è il vero motivo del predicatore. Lui non è lì per aiutare quei padellari di cercatori d'oro, è lì per trovare la via che lo riporti ad un confronto col passato, per liberarsene. Gli insegnamenti a Barrett, Sarah e Megan, sono solo dei riflessi, delle automatiche conseguenze. Quando un uomo cerca con verità la sua strada, porta beneficio anche a chi gli sta intorno. E di questo aspetto è importante la caratura che Eastwood dà al suo personaggio. E' infatti uno dei personaggi più defilati che abbia interpretato eppure è lui il fulcro. E' lui che affronta in duello quel gran cane di Stockburn (uno dei cattivi più straordinari del genere), e si sa, il duello è il climax principale di un western. In più questo duello, con l'originale scelta di avvicinare i duellanti che si sparano a distanza ravvicinata, scrutandosi negli occhi e scoperchiando un nero e triste passato, è uno dei duelli più belli ed incisivi, meno epici, ma incisivi di tutto il genere western. Ed è anche questo un tentativo di defilare il protagonista. Questa scelta di lasciarlo volutamente a metà strada, credo sia un tentativo di Eastwood di codificare quello che più avanti sarà agli occhi di tutti "l'uomo eastwoodiano" di cui continuo sempre a parlare. Gli da quella ineffabilità che è avvertibile pure in William Munny de "Gli Spietati" e nel Frankie Dunn de "Million Dollar Baby". Antieroi sì concreti, ma dall'animo fantastico, non di questo mondo. Come non sono di questo mondo il cuore e lo sguardo di Clint Eastwood.

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