Regia di Corin Hardy vedi scheda film
Ennesimo horror appartenente alla famiglia The Conjuring, prodotto da James Wan e scritto da Gary Dauberman (reduce dai due copioni dei primi due capitoli di Annabelle e prossimo a passare alla regia del terzo). Nonostante le critiche ricevute, è probabilmente il miglior spin-off della serie per il tentativo di proporre qualcosa di meno convenzionale rispetto sia al filone esorcistico sia a quello delle case infestate. Sale il budget e sale anche la componente gore. Il ritmo è più irregolare degli altri prodotti della serie, la tensione è pressoché costante. Ci sono continui omaggi ai film Paura nella Città dei Morti Viventi (la suora che si impicca come via d'accesso del male, cimitero nella nebbia, sepoltura di soggetto vivo che poi viene fatto uscire dalla tomba a badilate, suora morta col volto solcato da lacrime di sangue) e a L'Aldilà di Lucio Fulci (il flash con la suora con gli occhi bianchi o la scena con le suore che si muovono con le teste avvolte da federe insanguinate), oltre a qualche ammiccamento a Bram Stoker. I riferimenti al maestro irlandese si possono cogliere non solo nell'ambientazione rumena, ma anche nella presenza di un demone serpentino fuoriuscito da un pozzo (si veda La Tana del Serpente Bianco) e nell'accoglienza a cui vanno incontro i due indagatori, che si imbattono in una badessa (sempre ripresa di spalle) che ricorda non poco gli atteggiamenti di Dracula (invita i due ad alloggiare all'interno del castello/convento, a cui si è giunti trasportati da una carrozza finché il cavallo non ha rifiutato di procedere oltre perché intimorito dall'esistenza di male trincerato nel cuore del bosco).
Purtroppo Dauberman, che sembra più figlio del cinema che della narrativa, si fa prendere la mano e non riesce a calibrare il testo. La sua sceneggiatura è colma di buchi narrativi e suggerisce una scarsa conoscenza del soprannaturale. Pentacoli (compresa una stella a cinque punte disegnata a frustate sulla spalla di una suora), croci che si ribaltano (una vera e propria fissa di Dauberman), addirittura il graal (il sangue di Cristo) sono portati in scena perché fa “fico” metterceli. Dauberman gioca con gli strumenti esoterici a casaccio e in modalità kitsch (cosa che poi non infastidisce troppo un cultore di b-movie). In diversi punti lo script entra in contraddizione (presenza delle suore fantasma che prima cooperano e poi sono ectoplasmatiche e dunque maledette, altrimenti non sarebbero lì a pregare e soprattutto a subire le ire del demone), inoltre appare inverosimile tutta l'indagine condotta dal Vaticano che vuol capire se un convento (dove le suore sono morte da decenni) sia ancora benedetto oppure no, quando sarebbe bastato sentire il parroco del posto per farsi dire che nessuno si avvicina alla zona da decenni. Il convento infatti è un luogo totalmente in balia di un male che poco ha da spartire con il nunspoloitation, sottogenere del women in prison che negli anni settanta andava in voga in Italia. Wan elimina la componente erotico-blasfema (caratteristica spiccata del genere) e spinge su quella diabolica (in azione il demone Valak) in modalità prodotto di genere per i "più piccini". I riferimenti esoterici infatti sono tendenti all'assente (c'è persino una sorta di manuale illustrato che spiega chi sia il demone del posto!?). Assurda anche la giustificazione secondo la quale questo demone sarebbe ritornato in superficie, liberato dalle detonazioni dei bombardamenti della seconda guerra mondiale (!?). Al di là di questo, la pellicola può dirsi apprezzabile per la sua componente tecnico-artistica, forte di scenografie e di una fotografia (assai fredda e resa soffocante dalle continue nebbie e penombre) eccellenti. Il belga Maxime Alexandre, un lungo passato di vita in Italia (dove tuttora vive), fa uno straordinario lavoro alla fotografia, aiutando la regia a confezionare una messa in scena degna di un piccolo gioiello. Allievo di maestri quali Tonino Delli Colli (Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo) e Darius Khondji (Seven), ma soprattutto direttore della fotografia di fiducia di Alexandre Aja (Alta Tensione, Le Colline hanno gli Occhi, Riflessi di Paura) e del remake Maniac (2002), Alexandre è il punto di forza del film. Il suo estro è perfetto per stimolare quel sense of wonder non sempre presente in queste operazioni volte a fare cassa. Resta, tuttavia, un po' di amaro in bocca per la sensazione di un'occasione non colta in modo massimale. Pur reputando buona la prova alla regia del semi-debuttante Colin Hardy e notevole l'apporto offerto dal cast tecnico (buoni anche gli effetti speciali e il trucco, meno invece i costumi), The Nun è una pellicola fracassona e confusionaria, a causa di uno sceneggiatore (Dauberman) molto gradito a James Wan ma, a mio avviso, notevolmente sopravvalutato e sempre alla ricerca della soluzione cinematografica anteposta a quella colta/esoterica (si veda anche il finale con le croci capovolte, sempre quelle, che si disegnano sul corpo del francese). Poteva essere un gioiello in stile anni ottanta, invece è un B-Movie con momenti di grande intrattenimento. Può piacere.
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