Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
IL FIGLIO DI SPARTACUS (1962)
Come già dicevo pochi giorni fa - solo temendolo - nel commentare assai favorevolente il capostipite del genere Peplum ("Le fatiche di Ercole" di Pietro Francisci, del 1958), la gran parte dei film che lo seguirono non ne furono degni.
Speravo non fosse così per questo film di quattro anni dopo, con lo stesso protagonista, contando sulla direzione di un regista dignitoso come Sergio Corbucci nonchè sulla validità di vari suoi collaboratori .
Questo film, con esterni girati in Egitto, è indubbiamente, dal punto di vista dell'ambientazione, più realistico rispetto alle scene "di polistirolo espanso" della pellicola che diede inizio al filone mitologico * - e questo potrebbe esserne un pregio, messo al servizio di una trama non favolistica - ma non ne guadagna certo in spettacolarità .
Per quanto riguarda l'invenzione di un figlio che in qualche modo vendicasse la sconfitta e la morte di Spartaco e degli schiavi da lui guidati contro Roma in difesa degli ideali di libertà, l'idea era veramente buona, specie in quel periodo - primi anni sessanta - che io ricordo come gli anni dell'ottimismo in Italia. Avevamo tutti sofferto, due anni prima, per Kirk Douglas e Jean Simmons nell'ammirare il bellissimo film di Kubrick.
Il punto debole di questo "Il figlio di Spartacus" sta a mio avviso nel soggetto, qui non supportato da antichi miti bensì inventato di sana pianta da Adriano Bolzoni per innestarlo in avvenimenti storici dell'antica Roma, senza però grandi sforzi di fantasia.
Come si collega al defunto genitore Rando (Steve Reeves)? Molto semplice, non ce lo dicono e ce lo fanno conoscere già adulto quando sta per essere nominato centurione da Giulio Cesare per aver contribuito alla sua causa: "L'Egitto è conquistato, Cesare ha vinto! ... Il conto con gli alleati di Pompeo è chiuso".
Non sa di essere il figlio di cotanto padre e lo apprende perchè, finito casualmente nelle mani di spietati Licii insieme ad un gruppo di schiavi, uno di essi era stato fedele compagno di lotta di Spartaco, era l'unico sopravvissuto di settemila e ne attendeva, come i suoi più giovani amici, la venuta del figlio di cui conosceva il nome: l'aveva visto, neonato, portare già al collo un enorme medaglione (guarda caso sempre indossato da Rando pur non conoscendone il significato).
Lo attendevano per portare vittoriosamente a termine l'opera di Spartaco "come promesso".
Insomma, solo un riferimento alla vicenda di Mosè, assai approssimativo: perdonabile.
Fin qui, infatti, prima parte del film, la visione a me non è stata sgradita.
Rando, resosi conto della sua vera identità, si mette alla guida degli schiavi o, meglio, ex schiavi, perchè lui li ha liberati dopo aver liberato se stesso, eliminando tutti i cattivi (benchè non dotato dei poteri da semidio di Ercole) nell'ammirazione generale, anche da parte dei romani, sopraggiunti alla ricerca del centurione Rando: "Sembravi il dio della guerra!".
L'avevano perso in mare durante una tempesta con naufragio contro uno scoglio.
Lui si era gettato per salvare la schiava Saida (Ombretta Colli °), caduta dalla nave che doveva condurlo da Crasso per controllarne con cautela le mosse secondo il volere di Giulio Cesare.
E' da questo momento che il film mi ha deluso, per l'inverosimiglianza delle vicende che seguono.
"Colpa" dell'idea di base, quella di far agire il figlio di Spartacus come un novello Zorro (anche la S !), facendogli mantenere, astutamente (?), entrambe le identità: Rando, centurione romano, che riesce, senza farsi per lungo tempo scoprire, ad essere anche il capo del campo avverso. Spesso si sfiora il ridicolo, talora lo si raggiunge.
Senza dire altro della trama, desidero solo ricordare che Il film termina con queste parole: "Ogni uomo che si ribella all'oppressione potrà dire: sono figlio di Spartaco!"
Steve Reeves, senza infamia e senza lode, è attorniato non solo dalla "novità" Ombretta Colli (poi dedicatasi ad altro) che se la cava abbastanza bene, ma anche da validi attori fra i quali Jacques Sernas (che ci ha lasciato da poco e qui non ha una parte simpatica), Claudio Gora, Ivo Garrani, Gianna Mamaria Canale ed Enzo Fiermonte.
Alla sceneggiatura hanno collaborato, insieme col soggettista Bolzoni, anche Bruno Corbucci, Sergio Corbucci il regista e Giovanni Grimaldi. La fotografia è stata cura di Enzo Barboni, il montaggio è di Ruggero Mastroianni, la scenografia di Ottavio Scotti. Le musiche sono di Piero Piccioni.
A questo film, nonostante le riserve espresse sul soggetto, ritengo che la sufficienza debba essere riconosciuta ma che non si possa andare oltre: tre stelle.
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Quelle erano a mio parere vere "opere d'arte" (ancor più nel sequel "Ercole e la regina di Lidia", che pure ho visto qualche giorno fa). La magnificenza di fotografia e colore, con l'aiuto delle musiche, rendeva fiabesca o, se si vuole, pittorica, l'atmosfera, del tutto fuori della realtà: azzarderei "fantasmagorica".
Gran merito, in particolare, di Mario Bava (fotografia ed effetti speciali) ma non solo suo: fondamentale, per esempio, il soggetto, esemplarmente tratto con grande cura dai miti greci da Ennio De Concini.
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Una diciannovenne Ombretta Colli che due anni prima si era classificata seconda a Miss Italia (superata da Layla Rigazzi, la cui sorella Alba pure vinse quel titolo cinque anni dopo).
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